1 costata consuma come 157 mele: ce lo dice il climate labeling. E in Svezia si è provato a pagare la spesa in CO2.

di Andrea Begnini

20/05/2021

Foto di Gerhard G. d Pixabay
Il cibo è cibo, non possiamo farne a meno. E, tanto meno, possiamo tutti coltivarcelo o allevarcelo e produrlo in casa. La grande distribuzione è fondamentale anche se le regole d'ingaggio vanno messe a punto in modo evidente perché stiamo parlando di uno dei settori economici meno sostenibili che esistono, responsabile di circa un quarto delle emissioni di gas serra del mondo. In questo senso, le ricerche scientifiche e le sperimentazioni tecnologiche stanno esplorando possibilità impensabili fino a pochi anni fa, dal FoodTech al packaging. E alla tracciabilità in etichetta. 

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Copenaghen sta puntando proprio sul climate labeling, ovvero l’etichettatura climatica in grado di stimare l’impatto dell’intero ciclo vita di un alimento e la sua impronta carbonica. Questo con l'obiettivo di agire sulla coscienza personale dei consumatori e produrre una sostanziale virata nella scelta dei prodotti di consumo verso articoli con punteggi ambientali migliori, ovvero più sostenibili. Per esempio, la produzione di 1 kg di carne di manzo comporta l'emissione di 34,5 kg di CO2, che equivale a guidare un'auto per ben 291 km. L'impatto della frutta è invece di circa 0,44 kg di CO2 per kg, pari a percorrere in auto 3.7 km. Il che vuol dire: dovremmo mangiare più di 78 kg di frutta per avere lo stesso impatto ambientale di 1 kg di carne. O, in alternativa, 157 mele per eguagliare l’impatto di una costata di manzo. Inoltre, un piatto di pasta con i broccoli ha un’emissione di gas serra inferiore di oltre la metà rispetto allo stesso piatto di pasta con la salsiccia. Allo stesso modo, scegliere di mangiare una zuppa di lenticchie al posto di una lasagna permette di ridurre le emissioni di ben 22 volte. Per 1 kg di manzo si liberano 60 kg di anidride carbonica, 24 per 1 kg di agnello, 5 per 1 kg di pesce allevato, solo 3 per 1 kg di pesce pescato. Tra i vegetali, solo 4 etti di CO2 per 1 kg di mele e 3 etti per i limoni. 

Sono queste le semplici informazioni che potrebbero essere messe a disposizione di tutti tramite le etichette climatiche suscitando, forse, una presa di posizione virtuosa da parte del consumatore e, ancora più forse, rivoluzionando la produzione. Un settore a rischio di collasso considerando che tra qualche anno su questo pianeta ci saranno oltre 10 miliardi di esseri umani che avranno, giustamente, voglia di mangiare e gusti derivati dall'impatto della pubblicità e della percezione generale. I ricercatori ritengono che, anche chi si dice poco interessato a conoscere l’impronta carbonica del cibo che mangia, se messo davanti a prodotti analoghi con etichetta climatica, sceglie sempre quello che ha emesso meno CO2 prima di arrivare sullo scaffale. Alcuni supermercati in Danimarca e Svezia hanno da tempo cominciato a informare i clienti sugli effetti climatici delle loro scelte. Il marchio alimentare svedese Felix ha sperimentato per qualche giorno l'apertura della prima Klimat Butiken, ovvero un negozio del clima. Qui i prezzi dei prodotti sono in funzione della loro impronta di carbonio: per pagare, invece della corona svedese, si utilizza come valuta la CO2 avendone a disposizione un numero limitato di unità al giorno e arrivando a dare prezzi più alti alle merci meno sostenibili. Di quell'esperienza è rimasta, comunque, un'etichettatura climatica che segnala per ogni alimento la sua impronta ecologica: la CO2 emessa per produrlo, i rifiuti che possono essere generati, i km percorsi per produrlo e trasportarlo, la quantità e la fonte di energia impiegata in tutta la filiera. 
 

Tag:  cibo sostenibileclimate labelingFeliximpatto ambientale degli alimentiKlimat Butikensostenibilità

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