16 febbraio 2005: entra in vigore il protocollo di Kyoto. Dove siamo?

di Andrea Begnini

16/02/2021


Il dibattito internazionale sul clima comincia formalmente nel 1988 con l'istituzione dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che ha come obiettivo quello di studiare il riscaldamento globale. Il primo report, nel 1990, porta in emersione il rischio di un riscaldamento globale con effetti sul clima a causa dell'aumento delle emissioni di gas serra, determinate principalmente dall'uso di combustibile fossile. È qui che si comincia a ragionare sulla necessità di ridurre le emissioni antropogeniche. Ed è da qui che l'Unione Europea comincia a porre l'obiettivo di stabilizzare le emissioni di anidride carbonica entro il 2000 al livello registrato nel 1990, richiedendo agli stati membri di mettere in atto azioni per la protezione dell'ambiente e per l'efficienza energetica. Si arriva, così, al 1997 quando più di 180 Paesi sottoscrivono il Protocollo di Kyoto, il trattato internazionale in materia ambientale per contrastare i mutamenti climatici del nostro pianeta che entra in vigore il 16 febbraio 2005. Il trattato prevede l'obbligo di riduzione delle emissioni inquinanti in una misura non inferiore all'8% rispetto alle emissioni registrate nel 1990. Con l’obiettivo di dare continuità al Protocollo di Kyoto, nel 2009 l’Unione Europea elabora un Piano Energetico con tre precisi obiettivi: riduzione del 20% delle emissioni di gas serra, diminuzione del 20% del consumo di energia primaria, copertura di almeno il 20% del fabbisogno energetico delle attività umane con energie rinnovabili. Il tutto entro il 2020.

Nel 2001 il trattato di Kyoto perde gli Usa, allora il maggiore emettitore di CO2 del mondo, che, sotto la presidenza Bush, decidono di non ratificare l’adesione, segue la defezione del Canada e quella, anche se non formale, del Giappone. Cina, India e altri paesi in via di sviluppo non hanno aderito agli obblighi del protocollo di Kyoto. Nonostante questo, le 36 nazioni rimaste vincolate al trattato avrebbero dovuto ridurre le loro emissioni del 4,2% rispetto ai livelli del 1990, ma alla fine del 2012 le avevano ridotte in media del 16%, anche se, in parte, si ritiene che la riduzione sia dipesa anche dalla chiusura delle vecchie e inefficienti fabbriche di stato nell'ex Unione Sovietica post 1989. Gli obiettivi sono stati mancati da Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svizzera, Lussemburgo, Danimarca, Austria e Spagna; anche l’Italia, secondo i dati Ispra, rispetto all’anno base 1990 ha raggiunto una riduzione appena del 4,6%. Aldilà della crisi economica che ha tagliato la produzione industriale e dei Paesi che non hanno partecipato al protocollo, buona parte della riduzione di emissioni è realmente dipesa dall’impegno messo in campo dai Paesi impegnati. E, anche se effettivamente le emissioni globali sono cresciute del 50% circa dal 1990, Kyoto ha indicato chiaramente che una riduzione è possibile senza pregiudicare lo sviluppo economico. Trasformando in energia circolare la produzione industriale e investendo nello sviluppo delle energie rinnovabili, fattori decisivi che hanno condotto anche paesi come gli Usa e la Cina a puntare sulla riduzione nell’uso del carbone e del petrolio. Resta da capire se ci stiamo muovendo abbastanza in fretta.

La Commissione Europea ha proposto nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni atmosferiche da raggiungere entro il 2030, ovvero una riduzione delle emissioni totali del 40% rispetto al 1990, l'aumento dell'energia da fonti rinnovabili al 27% del consumo finale e il risparmio del 30% di energia attraverso l'aumento dell'efficienza energetica. Gli obiettivi puntano a mantenere il proposito di riduzione delle emissioni di gas-serra a livello europeo di almeno 80% entro il 2050 rispetto al 1990.
 

Tag:  economia circolareprotocollo di Kyotoriscaldamento globale

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