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Arriva per le imprese il dovere del ”successo sostenibile”
Arriva per le imprese il dovere del ”successo sostenibile”
di Riccardo Taverna
31/03/2020
Prima o poi la sostenibilità doveva diventare il modello di gestione di riferimento delle imprese. Per farlo doveva entrare a pieno titolo nella governance e nella strategia delle società, soprattutto quelle quotate. Per l’impresa non si sarebbe trattato di una semplice innovazione organizzativa, ma dell’inizio di un cambiamento culturale e di paradigma. Di questo cambiamento si era detto più volte e scritto praticamente ovunque. Ma la transizione era troppo lenta. E questo era dovuto al fatto che si chiedeva all’impresa di cambiare dimenticandosi di gestire la resistenza al cambiamento. Quella delle imprese è stata una resistenza arcigna che ha respinto tutti gli assalti che la sostenibilità aveva portato, metaforicamente, ai consigli d’amministrazione. Nonostante la buona volontà, la sostenibilità non era riuscita a conquistare l’Olimpo della gestione, quel piccolo spicchio in cima alla piramide organizzativa dove siedono il presidente, l’amministratore delegato e i consiglieri d’amministrazione e dove si prendono le decisioni che contano. Questo era lo stato di realtà fino al gennaio 2020, quando il Comitato di Corporate Governance di Borsa Italiana guidato da Patrizia Maria Grieco, presidente di Enel, ha messo un “bazooka” nelle mani della sostenibilità: il nuovo Codice di Corporate Governance.
Il nuovo Codice è straordinariamente chiaro e assertivo e fin dal primo articolo fa intendere che la sostenibilità è la protagonista: “L’organo di amministrazione guida la società perseguendone il successo sostenibile” (Art.1, principio 1). Il successo sostenibile è “un obiettivo che guida il consiglio di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore di lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società”. E, in questo contesto, il piano industriale è “il documento programmatico nel quale sono definiti gli obiettivi strategici dell’impresa e azioni da compiere al fine di raggiungere tali obiettivi in coerenza con i livelli di esposizione al rischio prescelto, nell’ottica di promuovere il successo sostenibile della società”. Non ci possono essere malintesi né equivoci.
Potrebbe bastare. No. Il Codice va oltre. Riconosce l’esistenza degli stakeholder e dello stakeholder engagement come modalità per gestirli. E ne afferma l’importanza affidando al consiglio di amministrazione l’incarico di promuovere “nelle forme più opportune, il dialogo con gli azionisti e gli altri stakeholder rilevanti per la società” (Art. 1, principio 5). Senza dirlo esplicitamente il nuovo Codice mette l’uomo al centro dell’impresa, quel crocevia di relazioni che insieme costruiscono valore. E pratiche dello stakeholder engagement come la classificazione degli stakeholder e il calcolo della loro rilevanza e la rilevazione e la misurazione oggettiva delle loro istanze, che sembravano esercizi utili per i soli Bilanci di Sostenibilità, assumono insieme agli stakeholder una nuova dignità.
E la resistenza al cambiamento? Il Comitato sembra aver colto l’essenza del problema attaccandolo direttamente. Infatti, nel Codice è stato inserito un principio che formalizza che la remunerazione degli amministratori e del top management deve essere funzionale al perseguimento dell’obiettivo di successo sostenibile (Art. 5, principio 15), seguendo il principio per il quale un soggetto si comporta sulla base di come viene misurato.
Ed è proprio la misurazione, per concludere, la chiave del successo. La misurazione dell’impatto dell’attività dell’impresa sull’ambiente, la società e gli stakeholder, oltre a essere una necessità per rendere concreti i temi intangibili, e quindi gestirli, è una richiesta del Codice.
Il rischio più rilevante, il Green washing, non è scongiurato, è solamente mitigato. Come ha dichiarato Patrizia Maria Grieco in un’intervista rilasciata a Il Sole 24 Ore, “il rischio di Green washing esiste. La strategia di un’azienda è improntata alla sostenibilità quando il piano industriale per il “successo sostenibile” adotta obiettivi strategici misurabili tenendo conto dei rischi ai quali il business dell’azienda è sottoposto nelle dimensioni ambientale, sociale ed economica”. A mio parere, la transizione delle imprese verso il modello di gestione sostenibile si avrà quando la sostenibilità sarà diventata cultura d’impresa. Nella pratica, la sostenibilità arrivata nel Cda non deve arroccarsi. Deve diffondersi in tutta l’impresa, incidendo sulle persone e i loro comportamenti con una forza mai avuta prima grazie all’autorevolezza del consiglio di amministrazione. In questo modo, il successo sostenibile sarà massimizzato.
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Tag:
Codice di Corporate Governance
sostenibilità
Autori
Riccardo Taverna
Esperto di sostenibilità ed economia civile. Consulente Altis.
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