Circol/azione.

di Marco Ferri

21/09/2020

Nonostante contengano concetti, visioni, prospettive e prefigurazioni, ci sono parole che a forza di usarle si consumano come monete, come scrisse una volta Marguerite Yourcenar. Una di queste, una che “va per la maggiore” avrebbe detto Mike Bongiorno, è il verbo circolare, che poi diventa sostantivo e continua la sua carriera come aggettivo.

Il verbo. “Circolare, circolare” è stato il monito autoritario del baffuto gendarme contro passanti curiosi della scena di un delitto. 
Il sostantivo. La circolare era un tram che un solo capolinea perché, appunto, partiva e arrivava nello stesso punto. 
Altro sostantivo. La circolare è anche l’apoteosi della burocrazia, non si muove foglia che l’apposita circolare non voglia, prescriva, predisponga, ordini.

Ed ecco l’aggettivo. Recentemente c’è una circolare famosa, è l’economia circolare. Che vuol dire? Bisogna aver presente quello che ci dice del povero maiale, che diventato porco, e fatto ingrassare ben bene, anche grazie alla privazione dei suoi attributi sessuali: del porco non si butta niente. Ecco: l’economia circolare è un’idea e un procedimento che non butta, ricicla. Non spreca, riusa.

Come? Secondo la classica definizione della Ellen MacArtur Foundation, in un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati a essere rivalorizzati senza entra nella biosfera. Vale a dire: non usiamo materiali che inquinano, usiamo tecniche in grado di riutilizzare i materiali. 

L’idea è salvare il pianeta dallo sfruttamento senza regole delle fonti energetiche, che producono gas serra e inquinano l’aria; dell’abuso di materiali che non prevedano procedimenti di riutilizzo, che avvelenano le acque dolci e salate del pianeta, e quindi inquinano la Terra.

L’economia circolare vuole cambiare il modo di produrre e consumare. Rimane l’atavico dilemma storico: può un sistema economico cambiare per autoconvincimento? Mai successo. 

“La storia insegna che nulla è determinato a priori”, scrive Thomas Piketty. Infatti, in economia si cambia perché conviene: meno costi, più profitti. Cosicché, i sostenitori dell’economia circolare cercano di dimostrare il circolo virtuoso tra teoria e prassi, proponendo l’esempio di buone pratiche, quelle che producono buoni prodotti, buon lavoro e buona qualità della vita, ma soprattutto buoni successi di fatturato. “Le dimostrazioni sono gli occhi della mente”, ha detto Spinoza.

E siccome non solo in economia, ma anche in politica si cambia perché conviene, il circolo virtuoso proposto dall’economia circolare cerca di coinvolgere governi e istituzioni democratiche a contribuire con norme che favoriscano quello che viene definito come “cambio del paradigma nell’economia globale”. 

Perché, per tornare alla metafora del maiale da carne di cui non si butta niente, come vuole il famoso detto popolare, la cosa riesce meglio se la sua alimentazione è sana e nutriente.  Vale a dire che l’allevamento deve rispettare l’animale, l’ambiente in cui cresce, e tutte le regole sanitarie e salutari, via via su per la filiera che porta un paio di gustose salsicce in tavola, da adagiare comode vicino a una bella fetta di polenta, il cui mais è stato coltivato senza pesticidi, il tutto accompagnato da un buon calice di rosso, biologico. “Mangiare e bere, secondo Hegel, sono il modo per comprendere le cose in ‘modo inconscio’.”, dice Byung-Chul Han.

Ecco allora che l’economia circolare ha bisogno della più ampia e capillare circolazione delle idee. Ovvero, necessita di produrre circol/azione.

https://youtu.be/S1zXGWK_knQ

Roma, settembre 2020
 

Tag:  circol/azionecircolareeconomia circolare

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