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Col caffè ci faccio i funghi. Ecco le startup dell’alimentare circolare italiano
Col caffè ci faccio i funghi. Ecco le startup dell’alimentare circolare italiano
di Giovanni Franchini
09/09/2020
Immagine tratta dal sito della startup Funghi Espresso
Il 50% della terra abitabile e il 70% della domanda di acqua dolce vengono assorbiti da un unico settore: l'agricoltura. Ed è una domanda in crescita, che ovviamente, il pianeta non si può permettere. Come uscirne, considerando che la catena industriale dell'alimentare produce il 30% di cibo utilizzando il 70% di risorse? Semplicemente (si fa per dire), invertendo i fattori e arrivando a produrre il 70% del cibo con il 30% di risorse. Per farlo non c'è che un metodo: applicare i principi dell'economia circolare, utilizzando gli scarti come materia prima per creare nuovi prodotti alimentari.
È quello che fa Circular Farm, una fattoria senza terra che produce funghi utilizzando i fondi di caffè esausti e riutilizza gli scarti organici per sfamare i lombrichi. Nata da una idea di Antonio Di Giovanni, Circular Farm è una startup con un modello economico rigenerativo che ha come risorse gli scarti e come principio il concetto di economia circolare.
Si inizia con 15 tonnellate di fondi di caffè prelevati da 10 bar della zona di Scandicci, a Firenze (ritirati con delle cargo bike, tanto per non pesare sull'ambiente), che una volta ripuliti vengono uniti ad un altro scarto, il silver skin, lo scarto di torrefazione, e impacchettati in sacchetti appesi all'interno di appositi container: dopo circa un mese, il substrato appeso in sacchetti, unito al buio e l'umido consentono al composto di effettuare la fruttificazione che non è altro che la nascita di un fungo. Da 15 tonnellate di fondi di caffè si ottengono 300 chili di funghi porcini che Di Giovanni vende ai ristoranti (vegetariani) e ai Gruppi di acquisto, tramite un'altra startup destinata alla vendita, Funghi Espresso.
Ma non è finita qui: una volta coltivati i funghi, il substrato esausto viene ancora una volta rigenerato attraverso il vermi-compostaggio per la produzione di humus di lombrico e lombrichi che viene poi impiegato come ammendante organico per l’orto sinergico mentre gli stessi lombrichi compongono l’alimentazione dei pesci. Alla fine, grazie agli scarti organici dei pesci l’acqua può essere utilizzata per la coltivazione di ortaggi naturali con il metodo idroponico. Insomma, il modello inventato di Di Giovanni permette di generare funghi, humus di lombrico, lombrichi, piante e pesci.
Dai fondi di caffè al latte scaduto il passo è breve, purché circolare. Il progetto di ricerca Lac2Lab, prossimo a diventare startup, prevede l’utilizzo del latte scaduto, destinato allo smaltimento, come elemento per creare colture cellulari in vitro, dagli utilizzi potenzialmente infiniti, ma soprattutto a costi molto più economici.
Il latte fresco pastorizzato è uno degli alimenti altamente e velocemente deperibili, al più tardi entro il sesto giorno da quello di produzione e i controlli sono ovviamente rigidi. Dopo quel termine la distribuzione lo toglie dagli scaffali e lo avvia allo smaltimento. In questo modo, se ne spreca tantissimo, un sesto circa dell’intera produzione, secondo uno studio dell’università di Glasgow. Con il progetto di Lac2lab, invece, il latte scaduto diventa siero per le colture cellulari in laboratorio, con notevoli vantaggi. Se il siero attualmente utilizzato per le colture proviene dai bovini ed estrarlo dai vitelli è una pratica molto dolorosa e il costo di questo siero è molto elevato, con il siero di Lac2Lab non solo si evitano sofferenze agli animali ma si ottiene un notevole risparmio che permetterà ai ricercatori di poter fare più esperimenti a costi ridotti. Le applicazioni? Dalla cura dei tumori alla produzione dei vaccini, alla produzione di nuovi farmaci.
La riduzione dello spreco alimentare, il risparmio di materia e di energia nel processo di smaltimento del packaging e l’avvio di un circolo virtuoso in cui i materiali impiegati sono di origine organica, sono gli elementi alla base di Packtin, startup spin-off dell’Università di Modena e Reggio Emilia nata dopo anni di ricerche sugli imballaggi commestibili.
L’idea di Packtin si basa sul recupero di scarti dei processi industriali della filiera alimentare (bucce di arancia, mela, pomodoro, polpa di barbabietola ecc.), da cui estrarre biopolimeri per produrre integratori, pellicole per alimenti, gel e packaging biodegradabili e commestibili, oltretutto garantendo una maggiore sicurezza e conservazione degli alimenti.
Gli scarti allungano anche la vita. C’è chi raccogliendo ed elaborando gli avanzi di lavorazione di cereali (crusca di frumento, trebbie di orzo, crusca di avena, polpe di barbabietola), ha creato un ingrediente che promette una vera rivoluzione del vivere sano.
È la startup milanese Heallo, fondata da Francesca Varvello che ha brevettato un composto, il Jax+, con il quale ha creato la prima birra con “proprietà benefiche”: si tratta di una proteina solubile in grado di abbassare il picco glicemico che scatta subito dopo i pasti e che è il principale responsabile dell’aumento di peso. Con questa tecnologia il picco si abbatte del 42%, secondo test clinici indipendenti, e senza nessuna alterazione di gusto e sapore.
La proteina ha debuttato nella prima birra a basso contenuto glicemico, la Fravort 4,9 gradi, prodotta birrificio Valsugana, mentre Peroni si è dimostrata interessata ed ha avviato alcune sperimentazioni. La proteina è utilizzabile in tutti gli alimenti ad alto contenuto di zuccheri, primi tra tutti i succhi di frutta e anche nel settore dei prodotti farmaceutici.
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