Dal cohousing all’economia circolare. Servono modelli di vita sostenibili per tutti

di Nadia Simionato

17/06/2020

Siamo entrati nella Fase 3, quella fase da tanti agognata, che da una parte sembra porre nuovi e pressanti interrogativi sul futuro di questo Paese (e del mondo intero), dall’altra, in molti di noi, lascia il sapore amaro delle riflessioni profonde ma incompiute del lockdown.

Durante il periodo di isolamento sono successe cose straordinarie e cioè ognuno di noi è stato messo di fronte all’insostenibilità, ma anche all’insensatezza - più o meno evidente - del proprio stile di vita. Quelle che prima erano sensazioni “sgradevoli” sono diventate conferme, quelli che prima erano appelli di pochi al cambiamento, o movimenti originali e limitati nel mare magnum della normalità (ecologia, economia circolare, riuso, cohousing…), hanno all’improvviso assunto dimensioni valoriali molto più ampie perché rispondevano concretamente a bisogni urgenti attraverso modelli sostenibili per tutti.

Ecco che parlare di sostenibilità, di economia circolare, di cohousing, ha assunto significati diversi, profondi, quasi viscerali. Perché? Perché ha a che fare con le ragioni intrinseche del nostro essere, del nostro rapporto con gli altri, del nostro convivere nell’ecosistema di cui siamo parte e non padroni. E perché il nostro stile di vita precedente ha mostrato in modo inconfutabile tutte le sue debolezze. Ci stavamo schiantando, lo sapevamo, ma le maschere del nostro quotidiano (e cioè le scuse per posticipare le riflessioni serie e le azioni concrete) erano così normali da “indossare” che nemmeno ce ne rendevamo conto… e intanto il contatore dell’insostenibilità (e dell’insensatezza) scorreva.

Quanto ci è costato e ci costerà vivere con gli attuali modelli, quelli che a ben pensarci sono ancora i modelli post-industriali? Il vero costo, anche sociale, di questi stili di vita non è quello immediato ma quello futuro che si nasconde nella perversione delle economie attuali (si veda in proposito un interessante articolo di Paolo Zanenga “Contro il dominio dei costi e l’ossessione dei tagli alla spesa”). Le strutture alienanti in cui siamo stati ingabbiati nel recente passato (uffici, centri commerciali, case-dormitorio, spazi leisure), hanno modificato la nostra percezione dello spazio, trasformandolo in luogo dove assumere ruoli sociali (lavoro, compro, abito, faccio sport...) senza considerare il ruolo del benessere che nasce da contesti relazionali completi e complessi.
È successo dunque che quasi spontaneamente in tanti ce ne accorgessimo: anche quelli che prima consideravano normale vivere in contesti di asocialità, consumistici, sprezzanti della reciprocità, si sono resi conto di quanto valore possa avere la relazione con gli altri, di quanto vivere in contesti autosostenibili, a dimensione umana, ricchi di reciprocità sia diventato prioritario, quasi vitale. Il microcosmo cohousing è diventato un esempio di microcosmo circolare, locale, sostenibile… insomma, che funziona. Non solo funziona ma è anche bello, gradevole, sicuramente impegnativo (nel senso che serve la volontà delle persone per far funzionare le cose) ma di un impegno che ripaga.

È successo, semplicemente, che quello che prima poteva essere considerato un pensiero “per pochi eletti” (magari anche un po’ “fricchettoni”) - il concetto di comunità e di benessere come senso di appartenenza a quella comunità - è tornato ad avere un valore incommensurabile. Parlare quindi di qualità dell’abitazione (l’oggetto in cui viviamo) ma anche dell’abitare (la nostra vita), di non consumo di suolo ma rigenerazione di edifici (anche tramite sostituzione integrale), di spazi, beni e servizi comuni, di pensiero e azione collettivi, è improvvisamente diventato molto sensato, e questo perché abbiamo bisogno di riappropriarci della nostra vita e rendere il nostro habitat adeguato ai nostri bisogni. È successo che abbiamo riscoperto il valore della delocalizzazione: il decentramento, il verde, la natura, quel giardino che il centro città ci hanno negato hanno assunto quel fascino che solo la mancanza poteva farci scoprire.

Non me ne vogliano i lettori e gli editori di Italia Circolare se sembra che stia parlando poco del modello cohousing: in realtà avrò altre occasioni per rappresentarlo in modo didascalico, ma tutto ciò di cui ho parlato fa parte del mondo cohousing. Quando, come cohousing.it, siamo partiti avevamo ben chiaro quanto fosse necessario ripensare ai modelli abitativi e, più generale, sistemici del nostro vivere. Mettere al centro non l’uomo ma le relazioni (tra uomini e anche con il mondo circostante) – e quindi la comunità - è la chiave per riproporre la sostenibilità.
Per scelta i nostri progetti di cohousing:
- vengono realizzati su “brown field” (rigenerazione di aree già utilizzate in precedenza / edifici già esistenti) e quindi non consumano nuovo suolo,
- propongono qualità edilizia (bioedilizia, fonti rinnovabili),
- promuovono la creazione di spazi flessibili e polifunzionali per l’utilizzo comune,
- utilizzano materiali innovativi, naturali, sostenibili e a km 0, che potranno essere inseriti in nuovi cicli di vita,
- mettono in moto economie di scala rilevanti,
- inseriscono all’interno del progetto vaste aree destinate a spazi comuni, dove la collaborazione e la reciprocità vengono favoriti,
- incentivano la co-progettazione e costruiscono comunità attraverso la partecipazione dei futuri abitanti alla definizione del loro sistema collaborativo,
- realizzano contesti dove vige il rispetto della privacy di ognuno ma anche quel sistema collaborativo che va a vantaggio della collettività e quindi anche, a ricaduta, del singolo.
 
Tutto questo come esempio di buone pratiche già esistenti e che possono, anzi oggi dovrebbero diventare il modo comune di vivere. Quelle riflessioni che in tanti hanno fatto ai tempi del lockdown sono la chance per ripartire da esperienze che hanno tutte le carte in regola per portare ad un vero cambiamento e trasformare i nostri sistemi economici e sociali in modelli funzionati, che è davvero urgente mettere in atto.

Tag:  cohousingeconomia circolaresostenibilità

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