Della mia banana e altri sprechi

di Diego Parassole

07/02/2022


Era metà pomeriggio del 5 febbraio, pochi giorni fa. Stavo lavorando ad un testo sul mio computer, quando ho sentito un languore, una voglia di qualcosa di dolce. Mi alzo, vado in cucina e nel tempo del tragitto (un metro e mezzo circa), penso alla prova costume del prossimo luglio a cui mi sono già iscritto e decido di resistere di fronte a merendine, brioche e cioccolatini: meglio un frutto.
È stato in quell’istante che i miei occhi si sono posati su una banana molliccia che ormai da gialla era diventata marrone. Avevo letto che più sono mature, e più le banane sono dolci, ma a me disgraziatamente piacciono quasi verdi, quando sembrano ancora degli zucchini.
La prendo, mi giro verso il cestino della differenziata e, di nuovo, i miei occhi si posano sul calendario, dove la data di quel giorno era cerchiata: 5 febbraio, “Giornata Nazionale di Prevenzione dello Spreco Alimentare”. Un brivido mi ha attraversato la schiena: stavo diventando anche io uno che butta via il cibo, lo spreca e se ne freca (per buttare lì una rima baciata).

Lo so anche io, arriva un momento in cui se non consumato il cibo non può che essere buttato, pena rischiare problemi di salute, ma poco dopo, leggendo i dati di questo alibi perfetto, ho capito che il punto su cui dovevo agire con me stesso non è quello, ma i giorni precedenti. È necessario e urgente non arrivare al momento in cui la mia banana (in senso lato), non ha davanti altre strade se non quella dell’umido. Devo saperlo e mangiarla prima, o quando il grado di maturazione inizia ad essere troppo usarla per una macedonia, dove l’eccessiva dolcezza si mescola ai sapori di altra frutta.
I pensieri a volte sono come gli spermatozoi: anche sapendo che ne resterà solo uno si lanciano verso l’obiettivo. Ma al contrario di quanto accade nel corpo di una donna gli altri si schiantano, e aspettano con calma che la mente faccia spazio, facendoli riemergere uno per volta, in rigoroso ordine di apparizione.

Mi basta l’aiuto di un motore di ricerca per imbattermi nella realtà: secondo il rapporto 2022 di “Waste Watcher”, ogni italiano getta via 595,5 grammi di cibo a settimana, quasi 31 kg all’anno, con un aumento del 15% rispetto all’anno precedente. In totale, i fratelli d’Italia (non nel senso del partito) che si stringono a coorte si liberano di 1.866.000 tonnellate di cibo. Ma forse fa più effetto se guardiamo la faccenda da un altro punto di vista: 7,37 miliardi di euro sprecati. Il doppio di quanto stanziato il Governo per contrastare i rincari energetici, mi ripeto a mente guardando la banana, che non so il perché, diventa sempre più pesante.
Ma il dato più incredibile credo sia un altro: quand’eravamo tutti bloccati in casa dal lockdown, siamo diventati più attenti, accorti, perfino disciplinati. Spaventati a morte all’idea di andare al supermercato e tornare con l’omaggio di mezzo chilo di virus, avevamo imparato a non buttare via niente, a sprecare pochissimo, a farci durare tutto quello che il servizio consegne dell’ipermercato ci portava a casa. Poi, lentamente, siamo tornati a uscire dal guscio, come le lumache quando smette di piovere, e quella che sembrava una lezione ormai acquisita stiamo iniziando a scordarla. Abbiamo ricominciato a riempire carrelli, anche sapendo che la metà di quella roba finirà nel fondo di frigoriferi passando direttamente all’umido, e da allora è stata una strage di banane diventate marrone, tinta che fra l’altro quest’anno non è neanche di moda, quindi del tutto inutile.

Siamo senza speranze? Boh, ogni tanto mi viene da pensare che sì, apparteniamo ad una generazione che fatica a pensare al prossimo, anche se questo è il mondo che abitiamo. Per fortuna ci sono i giovani, che stanno crescendo con una coscienza molto più grande della nostra. Mia figlia, ad esempio, ci fa una testa così perché usiamo troppa plastica e ha preteso che comprassimo un gasatore dell’acqua. Ma a forza di farci notare quali sono gli sprechi che io e mia moglie neanche ci accorgevamo di fare, mi ha gettato in uno stato di terrore perenne. Ho le tasche piene di carte di caramelle che non butto mai perché per strada non riesco a trovare un cestino e spesso mi capita di provare sentimenti di tristezza e compassione davanti ad un cassonetto della differenziata. Penso con malinconia a quante cipolle, quanta frutta, pane e verdure è costretto a ingurgitare in perfetto silenzio.
Immaginate se la domotica li dotasse di microchip di analisi del cibo appena buttato e di un sintetizzatore vocale: “Idiota, la cipolla che hai buttato era ancora buona”. E tu costretto a riprendere il sacchetto, toglierla e chiedere scusa, mentre torni verso l’androne di casa fra lo scrosciare degli applausi degli altri condomini affacciati ai balconi.
Cosa si può fare? Educare dei maleducati, va bene, ma abbiamo capito tutti che le campagne sociali con i pupazzetti sorridenti non servono, o comunque servono a poco. Allora, forse basta guardarsi attorno e scoprire cosa fanno gli altri.

In rete, nel mio appetito di notizie sullo spreco che ormai mi aveva conquistato, mi imbatto in “Sir Plus”, un supermercato in cui entrando è necessario dimenticare ciò che farebbe qualsiasi casalinga: scordarsi di consultare la data di scadenza. Perché tutto quello che è esposto sugli scaffali è rigorosamente e orgogliosamente scaduto. Ma “Sir Plus” non lo nasconde, anzi, è il vero vanto di questo supermercato aperto a Berlino nell’elegante quartiere di Wilmersdorf, il primo al mondo dove il cibo è oltre la data di scadenza.
Non è l’idea folle di un avvelenatore seriale, ma quella di Raphael Fellmer, imprenditore che da anni si batte per il saver food, la lotta allo spreco alimentare che vorrebbe trasformare in una moda, esattamente come il vegan e il bio sono riusciti a fare. Tutto nasce una quindicina di anni fa, quando Raphael parte insieme a tre amici, di cui uno italiano, per un viaggio intorno al mondo che ha una sola e unica regola: zero spese e adattarsi a mangiare quello che gli altri non vogliono più. È un training utilissimo per scovare prodotti buttati appena scaduti, ma ancora ottimi, sostanziosi e soprattutto gratis.
Sia chiaro, nulla di quanto esposto sugli scaffali di Sir Plus ha superato la scadenza così tanto da renderlo pericoloso, e comunque ogni singolo prodotto viene aperto, controllato e annusato dal personale, tenendo per buono solo quello presentabile e più che altro ancora commestibile. A quel punto, sulle confezioni compare il timbro “gerettet”, ovvero salvato dal cassonetto differenziato, accompagnato dal prezzo, che è esattamente la metà di quanto riportato dall’etichetta originale, quella conservata per dimostrare senza ombra di dubbio che la data di scadenza è passata da un pezzo.
Così, baguette imbustate dieci giorni prima, biscotti scaduti all’inizio dell’anno e succhi di frutta che hanno superato indenni l’estate, una piccola parte degli oltre 10 milioni di kg di cibi destinati all’immondizia raccolti in cinque anni di attività, sono diventate l’ultima passione delle massaie berlinesi, che dal giorno dell’apertura fanno la fila alla cassa, ma solo per adesso, visto che la prossima mossa di Raphael è la consegna a casa.
Geniale, mi ripeto mentre la banana sembra guardarmi. Beh, lo ammetto, non sono riuscito a buttarla: dal 5 febbraio scorso siamo diventati amici e ormai mi segue ovunque. Camminando da sola.
 

Tag:  economia circolaregiornata nazionale contro lo spreco alimentarespreco alimentareWaste Watcher International Observatory

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