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Dieci anni del rapporto GreenItaly di Symbola
Dieci anni del rapporto GreenItaly di Symbola
di Ermete Realacci
30/10/2019
La vita aspetta sempre le situazioni critiche
per rivelare il suo lato più brillante.
Paulo Coelho
Affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro. È una sfida di enorme portata che richiede il contributo delle migliori energie tecnologiche, istituzionali, politiche, sociali, culturali. Il contributo di tutti i mondi economici e produttivi e soprattutto la partecipazione dei cittadini. Cogliere questa sfida è anche una risposta alla generazione Greta, la cui spinta è un ingrediente fondamentale per cambiare rotta, ed è ingeneroso criticare quelle ragazze e quei ragazzi per il difetto di proposte concrete e per un eccesso di semplificazione: fare proposte non è il loro compito, e, come scriveva Ernest Hemingway, “avere un cuore da bambino non è una vergogna, è un onore”. Non hanno bisogno di carezze ma di risposte che indichino ricette solide e politiche durature per sostenere, come un vento propizio, una nuova economia.
Quando 10 anni fa pubblicavamo il primo GreenItaly nel mondo c’erano 25 GW di fotovoltaico installato: oggi i GW sono diventati 660. La tecnologia green ha compiuto enormi progressi e in questi 10 anni il costo dell’elettricità da fotovoltaico, dice l’Unep, è crollato dell’81%, e quello dell’eolico del 46%. In un decennio nel mondo sono stati investiti oltre 2,6 miliardi di dollari in rinnovabili col nostro Paese che, nonostante il forte rallentamento negli ultimi anni, è il settimo al mondo dopo Cina, Usa, Giappone, Germania, Gran Bretagna e India. Le emissioni di green bond nel 2018 hanno raggiunto i 250 miliardi di dollari: nel 2009 erano meno di un miliardo. Di economia circolare nel 2008 parlavano solo le riviste specializzate, oggi l’Italia è il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti (urbani, industriali, ecc.): il 79%. La sostituzione di materia seconda nell’economia italiana che deriva da questo riciclo comporta un risparmio potenziale di 21 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 58 milioni di tonnellate di CO₂: pari rispettivamente al 12,5 % della domanda interna di energia e al 14,6% delle emissioni. L’Italia in questi anni è diventata quarto produttore mondiale di biogas dopo Germania, Usa e Cina. Oltre ad essere uno dei campioni della chimica verde. Ma i report dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico dell’ONU) — e gli slogan dei milioni di giovani che in tutto il mondo manifestano con Greta — ci ricordano che, se non vogliamo lasciare alle generazioni future un Pianeta reso ostile dai disastri ambientali, dobbiamo considerare tutti questi progressi come l’inizio di un cammino verso un’economia decisamente più sostenibile e per ciò più a misura d’uomo. Lo ha scritto l’Unep, che definisce la green economy come un modello “capace di migliorare il benessere umano e l’equità sociale, riducendo contestualmente i rischi ambientali”. Lo ha detto papa Francesco in quel manifesto per il futuro che è la Laudato si’.
L’Italia — grazie alla sua capacità di produrre cose belle e insieme innovative; grazie ai legami delle imprese col territorio e le comunità — in questo cammino è tra i Paesi più avanzati. Ma grandi capacità comportano maggiori responsabilità, e le crisi si rivelano spesso opportunità: il nostro Paese ha le carte in regola per diventare uno dei leader della rivoluzione sostenibile dell’economia. Contribuendo a rinvigorire e rinnovare in chiave ambientale la missione dell’Europa e godendo dei vantaggi economici, tecnologici e competitivi legati a questa leadership. Una leadership dovuta non tanto alle politiche ma all’iniziativa di tanti imprenditori e a quanto si muove nella società che spesso è più avanti della politica. Sono oltre 432 mila le imprese italiane dell’industria e dei servizi con dipendenti che hanno investito nel periodo 2015-2018, o prevedono di farlo entro la fine del 2019 (nell’arco, dunque, complessivamente di un quinquennio), in prodotti e tecnologie green. In pratica quasi una su tre: il 31,2% dell’intera imprenditoria extra-agricola (nel quinquennio precedente erano state 345 mila, il 24%). E nel manifatturiero sono più di una su tre (35,8%): la green economy è, per una parte considerevole delle nostre imprese, un’occasione già còlta. Solo quest’anno, anche sulla spinta dei primi segni tangibili di ripresa, quasi 300 mila aziende hanno investito, o intendono farlo entro dicembre, sulla sostenibilità e l’efficienza (il dato più alto registrato da quando Symbola e Unioncamere hanno iniziato a misurare gli investimenti per la sostenibilità). In questi investimenti fanno la parte del leone l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili insieme al taglio dei consumi di acqua e rifiuti, seguono la riduzione delle sostanze inquinanti e l’aumento dell’utilizzo delle materie seconde.
Non è difficile capire le ragioni di queste scelte. Le aziende di questa GreenItaly hanno un dinamismo sui mercati esteri nettamente superiore al resto del sistema produttivo italiano: con specifico riferimento alle imprese manifatturiere (5–499 addetti), il 51% delle eco-investitrici ha segnalato un aumento dell’export nel 2018, contro il più ridotto 38% di quelle che non hanno investito. Queste imprese innovano più delle altre: il 79% ha sviluppato attività di innovazione, contro il 61% delle non investitrici. Innovazione che guarda anche a Impresa 4.0: mentre tra le imprese eco-investitrici il 36% ha già adottato o sta portando avanti progetti per attivare misure legate al programma Impresa 4.0, quelle non investitrici sono al 18%. Sospinto da export e innovazione, il fatturato trae in complesso benefici: il 26% delle imprese investitrici si attende un aumento di fatturato per il 2019, contro un 18% delle altre. Stesso discorso per l’occupazione, dove il 19% delle green prevede una crescita, contro l’8% delle altre. Nel 2018 il numero dei green jobs in Italia ha superato la soglia dei 3 milioni: 3.100.000 unità, il 13,4% del totale dell’occupazione complessiva (nel 2017 era il 13,0%). L’occupazione green nel 2018 è cresciuta rispetto al 2017 di oltre 100 mila unità, con un incremento del +3,4% rispetto al +0,5% delle altre figure professionali. La green economy è anche una questione anagrafica. Una importante spinta al nostro sistema manifatturiero verso la sostenibilità ambientale, infatti, è impressa dai giovani imprenditori: tra le imprese guidate da under 35, il 47% ha fatto eco-investimenti, contro il 23 delle over 35. Green economy significa anche cura sociale: il 56% delle imprese green sono imprese coesive, che investono cioè nel benessere economico e sociale dei propri lavoratori e della comunità di appartenenza relazionandosi con gli attori del territorio (altre imprese, stakeholder, organizzazioni non profit, ecc.); tra le imprese che non fanno investimenti green, invece, le coesive sono il 48%.
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Ermete Realacci
Presidente di Symbola Fondazione per le qualità italiane e presidente onorario di Legambiente.
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