E la chiamavano obsolescenza programmata...

di Andrea Begnini

13/03/2020

E la chiamavano obsolescenza programmata...
Con obsolescenza programmata si intende solitamente indicare quei prodotti e quelle tecnologie che già in fase progettuale e costruttiva comprendono la programmazione del loro fine vita, possibilmente non troppo in là nel tempo così da costringere il consumatore a rinnovare frequentemente il proprio apparato di oggetti. Più semplicemente, quando ci sembra che il frigorifero nuovo duri meno di quello di una volta, che il televisore si fulmini appena comprato senza ragione mentre quelli a tubo catodico duravano una vita, che la batteria del telefono dopo meno di un anno sia da cambiare ma non è mai stato così, ecco, allora, entriamo tutti quanti nel sospetto che lo facciano apposta, che non sia casuale la breve vita dei nostri oggetti, soprattutto tecnologici. Per la verità, a volte, si tratta di più che di un sospetto: sono recenti le sentenze di condanna ad alcuni produttori di software i cui aggiornamenti erano pensati per rendere subito vecchi gli smartphone.

L'economia circolare lavora sul concetto opposto, ovvero quello di comprendere sì il fine vita all'interno della produzione di "cose e tecno-cose" ma di farlo prima di tutto per allungarla il più possibile la vita, per recuperare i materiali riciclabili dei nostri oggetti e, a conti fatti, per incidere quanto più possibile verso lo zero sulla natura. Per questo, un concetto interessante è quello dei rigenerati, ricondizionati o refurbished, ovvero tablet, smartphone e computer che vengono riparati e messi a nuovo per una nuovo giro di giostra sul mercato.

I vantaggi evidenti riguardano l'ambiente e i consumatori: per i secondi, è chiaro che i prezzi, rispetto al nuovo, si abbattono fino al 60 per cento mentre per la natura si ragiona soprattutto in termini di materie prime risparmiate (ne sottraiamo al pianeta quasi 100 miliardi di tonnellate ogni anno e di queste solo il 9 per cento vengono poi riutilizzate) e di emissioni di gas serra ridotte (negli ultimi 10 anni l'industria tecnologica è passata da produrre 17 milioni di tonnellate di CO2 alle attuali 125 milioni di tonnellate). Ma, e questo è un fattore sorprendente e decisivo per il successo del settore, i vantaggi ci sono anche per i produttori di device e di tecnologia. Si chiama "refurb" ed è un vero e proprio mercato secondario che funziona perché raggiunge target di clientela che la vendita del nuovo, con i suoi prezzi, non riuscirebbe comunque a raggiungere. Non può essere che così osservando Apple che nel 2016 ha avviato un programma di vendita di iPhone rinnovati in tutto in mondo. O Amazon Warehouse, la sezione di ecommerce appositamente dedicata ai dispositivi ricondizionati dopo il recupero da fondi di magazzino e dispositivi con piccoli difetti come graffi o ammaccature. In Europa, il giro d'affari del mercato informatico del ricondizionamento è passato dai 3,1 miliardi di euro del 2015 ai 6,9 miliardi di euro del 2017, mentre l'ultimo report Worldwide Used Smartphone Forecast evidenzia come il mercato degli smartphone usati stia crescendo da 81,3 milioni di dispositivi reimmessi nel 2015 a 222,6 milioni nel 2020, con un tasso di crescita di oltre il 22 per cento ogni anno.
 

Tag:  Amazon Warehouseeconomia circolareobsolescenza programmatarefurb

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