Anche le Big Oil Company si sono incolonnate insieme alle altre imprese verso la strada che porta verso un futuro più sostenibile e rispettoso dell’ambiente. Il settore energetico, petrolio e carbone, è il motore della produttività del mondo, ma come tutti sanno ha un rovescio della medaglia devastante in termini di inquinamento ed emissioni.
Intanto una buona notizia: secondo i dati di Global Emission Trends dell’Agenzia internazionale dell’energia, nel 2019 i gas serra dovuti alla produzione di energia hanno smesso di crescere fermandosi a 33 gigatonnellate, a fronte delle stime che prevedevano invece un aumento corrispondente all’aumento del Pil mondiale del 2,9%.
Cosa è successo? L’Agenzia individua le cause dello stop all’aumento delle emissioni nel settore dell’energia delle economie avanzate, in vari fattori: il ruolo crescente dell’utilizzo delle fonti rinnovabili, la transizione in atto dal carbone al gas naturale (soprattutto russo) e la maggiore produzione di energia nucleare (in Giappone soprattutto, dove è cominciata l’era post-Fukushima e i reattori funzionano a pieno regime).
Questo calo di emissioni, avvenuto soprattutto in Europa, compensa la crescita confermata nei paesi in via di sviluppo, India e Sud Est asiatico soprattutto, dove la domanda di carbone per produrre energia è ancora molto forte e di conseguenza aumentano delle emissioni: +400 tonnellate.
L’Europa guida il gruppo delle aziende sostenibili e le compagnie petrolifere sono disposte a fare la loro parte. Anche perché la sostenibilità non conviene solo all’ambiente e alla vita di tutti noi, ma anche al portafoglio degli azionisti. Secondo un report di New Energy Outlook dell’agenzia Bloomberg, produrre energia rinnovabile, infatti, conviene e converrà sempre di più, soprattutto a causa della riduzione progressiva dei costi di produzione: “Le forti riduzioni dei costi della tecnologia eolica e solare e della batterie – afferma l’Agenzia – si tradurranno entro il 2050 in una rete elettrica alimentata quasi per la metà dalle due fonti energetiche rinnovabili in rapida crescita”.
L’anno cruciale, prevede l’agenzia, corroborata da dati analoghi dei maggiori analisti di settore, è il 2050, quando “il ruolo del carbone nella produzione di elettricità passerà dall’odierno 37% al 12%, mentre il petrolio sarà praticamente eliminato come fonte primaria di produzione di energia elettrica. L’energia eolica e solare faranno un balzo enorme, passando dall’attuale 7% di elettricità prodotta al 48% entro il 2050”.
Insomma, produrre energia pulita è il futuro, e di conseguenza la maggiore spinta alla conversione alle compagnie tradizionali la danno proprio gli azionisti, sempre più convinti che il rinnovabile sarà l’affare di questo secolo. Anche perché i dati parlano chiaro: i moduli solari fotovoltaici, le turbine eoliche e le batterie agli ioni di litio non solo costeranno sempre meno, ma ad ogni raddoppio della capacità produttiva ormai corrisponde una diminuzione di costi del 28% per il fotovoltaico, del 14% dell’eolico e del 18% delle batterie.
Di fronte a questi scenari gli azionisti della Bp, British Petroleum, una delle major mondiali del petrolio, hanno spinto la compagnia ad annunciare un drastico azzeramento delle emissioni di C02 entro il fatidico 2050. E chi pensa che l’orizzonte comunque trentennale possa alla fine risultare come una promessa “a babbo morto” deve considerare che lo scenario prevede precisi obiettivi intermedi misurabili e certificabili su tutta la filiera.
Si chiamano in codice Scope 1, 2 e 3 e corrispondono ad altrettanti standard che le compagnie devono rispettare, perché su queste saranno giudicate dai mercati, dai governi e dai consumatori.
Il primo obiettivo riguarda le emissioni derivanti da fonti controllate direttamente dall’azienda, dalla produzione al trasporto. Il secondo riguarda gli acquisti di energia e il terzo, il più importante, impatta su tutta la catena del valore, ovvero le emissioni totali per l’arrivo del prodotto al consumatore. Periodicamente le compagnie dovranno certificare la diminuzione delle emissioni, aprendo così di fatto la via principale alla riduzione dei gas serra globali. E se le principali compagnie internazionali stanno convergendo su questi obiettivi, l’Italia non è da meno.
L’Eni infatti ha appena varato un ambizioso piano che guarda al futuro delle energie rinnovabili. Lo ha presentato l’amministratore delegato Descalzi agli azionisti a ai media proprio lo scorso mese di febbraio.
Gli obiettivi sono ambiziosi e, per molti versi, inimmaginabili solo alcuni anni fa: “Tra trent'anni – ha detto Descalzi – le emissioni della nostra produzione saranno scese dell'80%, ben oltre la soglia del 70% indicata dagli Accordi di Parigi”. L’85% della produzione sarà costituito da gas sostenibile con una conseguente riduzione delle emissioni di 40 milioni di tonnellate l’anno. Le rinnovabili arriveranno a produrre 55 Gwatt. E ce n’è anche per l’economia circolare: la graduale conversione dei siti di raffinazione grazie a nuove tecnologie per la produzione di prodotti decarbonizzati da riciclo di materiali di scarto; l'incremento della raffinazione “bio” a 5 milioni di tonnellate e la trasformazione delle stazioni di servizio in punti vendita per la distribuzione esclusiva di carburanti sostenibili.
In particolare la raffinazione bio è uno dei settori in cui Eni crede fortemente. È stato recentemente avviato in fase sperimentale un impianto per la produzione di un bio-olio che sarà utilizzato negli impianti Eni al posto dell’olio di palma, considerato troppo impattante per l’ambiente.
Insomma, un futuro sostenibile e circolare sta diventando sempre più possibile, anche per le oil company.
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