#ExPost / C’è sempre il Know-How al centro del Salone

a cura di Studio Legale Improda e Italia Circolare (di Francesco Rizzo e Mario Del Gaudio)

19/04/2024


Disclaimer: in questo pezzo non si parlerà né di Design né di Brand! 

Eppure, si chiederà il lettore, non si dovrebbe discutere del Salone del Mobile 2024, delle prospettive di crescita e di evoluzione del mercato dell’arredamento con un occhio ai temi della Sostenibilità, di come (con un pizzico di orgoglio nazionale) il Made in Italy continui – nonostante le peripezie economiche che il nostro Paese affronta giorno dopo giorno e il fronte nebuloso che si staglia dinanzi all’orizzonte geopolitico o, ancora peggio, del pianeta nella sua interezza – a essere vincente nei mercati internazionali? Certo che sì. Ma se qualcuno del settore si autodefinisce (più o meno giustamente, non sta a chi scrive dirlo) “artigiano della qualità” è perché vuole richiamare quella capacità di saper fare le cose (come direbbe Joseph Schumpeter di “fare le cose vecchie in un modo nuovo”) garantendo al contempo efficienza (anche in termini di consumi e di utilizzo delle materie prime), economicità, qualità e vantaggio competitivo che trova protezione da parte dell’ordinamento nella cornice del Know-How.

Diversi sono stati nel tempo i tentativi di definizione di questo strumento della proprietà intellettuale, spesso ignorato da chi potrebbe legittimamente vantarne la titolarità giuridica o ancora sottovalutato nelle sue potenzialità sia in termini di protezione che di valorizzazione dell’azienda. Ai fini di questo scritto sarà sufficiente richiamarsi all’art. 98 del Codice della Proprietà Intellettuale che garantisce tutela alle “informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali” che:
    • siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;
    • abbiano valore economico in quanto segrete;
    • siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.
 

Si tratta dunque di quelle esperienze e informazioni, documentate o documentabili, che afferiscono a processi produttivi o prodotti aziendali che non sono standard operativi diffusi nello specifico settore, ma che costituiscono accorgimenti, sviluppi, innovazioni frutto dell’esperienza quotidiana, che garantiscono al titolare un vantaggio competitivo e delle quali sia congruamente impedita la divulgazione a terzi. Segreti commerciali (così li definisce la norma) che spesso sono decisivi anche nella creazione di processi produttivi circolari e a basso impatto ambientale, come si può vedere nell’industria del rottame oppure – per restare più ancorati al tema – nell’indiscussa leadership europea che l’industria del legno italiana vanta rispetto al riutilizzo della materia prima mediante pannelli truciolari.

Ciò di cui si sta parlando è dunque un elemento centrale nella vita delle imprese di maggior successo del Made in Italy, l’architrave che regge da un lato la potenza del Brand e dall’altro l’efficacia funzionale del Design (prima e unica violazione al Disclaimer iniziale) attraverso un costante dialogo tra Tradizione (ossia ciò che è stato fatto in passato, dunque esperienza) e Innovazione (ciò che si propone come nuovo al pubblico, e dunque capacità evolutiva). Vengono a mente le parole di Leonardo Da Vinci secondo cui “l’arco non è altro che una fortezza causata da due debolezze. Ciascuna debolissima per sé, desidera cadere, e opponendosi alla ruina l'una dell'altra, le due debolezze si convertano in unica fortezza”. 

Due elementi che da soli tenderebbero a cadere e che si danno forza l’un l’altro, ossia proprio quello che è successo con le realtà del c.d. miracolo italiano: da un lato, hanno respinto la tentazione di ancorarsi alla tradizione di ciò che è stato fatto che le avrebbe portate in una spirale regressiva, di rimpianto di un passato glorioso ormai inarrivabile. Dall’altro, non hanno lasciato l’innovazione tecnologica alla mercè della sola grandissima industria italiana (rischiando di compromettere il nostro futuro visti i numerosi insuccessi di quest’ultima) e anzi l’hanno esercitata “sporcandosi” le mani ogni giorno.
 

Il Know-How è dunque un fattore della vita aziendale che andrebbe opportunamente protetto, non solo per ottenere la tutela giuridica che gli verrebbe assicurata dalla normativa nazionale e internazionale, ma anche perché centrale nella creazione di vantaggio competitivo misurabile economicamente rispetto ai concorrenti. Garantire la protezione del Know-How avrebbe, d’altro canto, ricadute positive su diversi aspetti della vita aziendale: favorirebbe l’attrazione di risorse economiche per l’Azienda (si pensi alle potenzialità attualmente ancora inespresse del pegno non possessorio o alla futurista tokenizzazione); permetterebbe un più agevole passaggio generazionale garantendo alle idee del fondatore della realtà imprenditoriale “vita oltre la vita” estirpandole dalla sua testa per infonderle come metodi, processi, documenti aziendali; consentirebbe, nelle fasi fisiologiche di avvicendamento, di avere una valutazione più equa del delta valoriale che caratterizza l’impresa da confrontare con i classici moltiplicatori con cui vengono valutate (spesso in maniera standardizzata e poco puntuale) le aziende nelle operazioni di M&A.

Ecco, in questo pezzo non si è parlato d’altro che di Know-How perché metterlo al centro del Salone del Mobile – magari al posto di elemento d’arredo pur iconico – farebbe miglior servizio ai futuri successi delle imprese del settore che acquisirebbero maggiore consapevolezza del proprio patrimonio immateriale. 
 

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