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Gli alberi sono Santuari
Gli alberi sono Santuari
di Alessandro Paciello
19/12/2019
“È vero, per l’albero c’è speranza: se viene tagliato, ancora si rinnova e i suoi germogli non cessano di crescere; se sotto terra invecchia la sua radice e al suolo muore il suo tronco, al sentire l’acqua rifiorisce e mette rami come giovane pianta. Invece l’uomo, se muore, giace inerte; quando il mortale spira, dov’è mai?” (Giobbe 14: 7-10).
Riferendosi a Dio, Giobbe evidenzia la supremazia della Natura sull’uomo mortale. Con la metafora dell’albero, sottolinea quanto sia fragile l’essere umano, al cospetto dell’ambiente che lo ospita. In un ambientalismo “ante litteram” ci sta dicendo che, se l’uomo opererà per distruggere la Natura, anche solo inconsapevolmente, questa gli sopravviverà comunque, perché mentre quest’ultima è eterna, egli è decisamente impermanente.
Dagli alberi dipende la Vita del Pianeta e quella di tutti gli esseri viventi. La distruzione sistematica e scientifica dei boschi e delle foreste, ovunque nel Mondo, a opera di piromani prezzolati dalle mafie dedite al business dello spegnimento, del “mantenimento post incendio” e del rimboschimento (o della speculazione edilizia o agricola), sta progressivamente diminuendo la possibilità del genere umano di sopravvivere al secolo in corso.
Ma degli alberi non abbiamo bisogno solo nella Foresta Amazzonica. Ne abbiamo necessità soprattutto dove viviamo la quotidianità, dove giocano i nostri bambini, dove ci rechiamo a lavorare, dove gli anziani invecchiano. Personalmente, sostengo da tempo la necessità di piantare alberi nelle nostre città e di curarli di conseguenza, visto che spesso l’habitat non è a loro del tutto favorevole. Infatti, la “piantumazione” che non corrisponda a criteri botanici collegati al clima e all’ambiente circostante rappresenta solo un’inutile perdita di energia e di denaro. Quindi, vanno piantate le giuste specie arboree e poi va operata una corretta cura, soprattutto se inserite in un contesto urbano inquinato.
I vantaggi per gli esseri umani “urbanizzati” sono enormi. Si riduce il livello di inquinamento dell’aria, matrice di moltissime malattie oncologiche e cardiovascolari. Si rende più umida l’aria in modo naturale. Si crea ombra che possa dare rifugio ai passanti. Si genera refrigerio, consentendo l’abbassamento della temperatura in estate in periodi di forte insolazione. L’albero ospita animali che sui suoi rami e tra le sue foglie nidificano, mantenendo in equilibrio l’ecosistema. E, non ultimo fattore positivo, genera bellezza e quindi benessere psicologico per gli abitanti e i viandanti.
Gli alberi sono la vera e propria rappresentazione plastica del concetto di “circolarità”. L’albero è stanziale per definizione. Non può spostarsi. Può solo muovere le sue fronde e le sue radici, in un continuo moto che è ascendente e discendente. Dagli elementi naturali che lo circondano prende i nutrimenti (luce, aria, acqua, terra) che gli servono e lo fa “quanto basta”, quanto gli serve per vivere. Ma restituisce generosamente all’ambiente e agli altri esseri viventi quanto ha preso e lo fa con gli interessi. L’albero è generoso, a differenza delle specie animali e dell’essere umano soprattutto. E lo fa proprio perché è cosciente che da ciò che lo circonda dipende la sua sopravvivenza, dato che non può spostarsi alla ricerca di altri ambienti. L’albero non è nomade. Il suo cuore nasce e muore dove è nato e le sue foglie non cadono mai distante dalle sue radici.
La quercia era l’albero sacro dei druidi. Druido è il termine che Plinio il Vecchio attribuiva a un’etimologia che mette in risalto il legame che avevano i druidi con gli alberi stessi: “Essi non compiranno alcun rito senza la presenza di questo albero, al punto che sembra possibile che i druidi derivino il loro nome dal greco”. Cita così il termine “drus”, ovvero “quercia”. In realtà, sembra difficile che il nome derivi dal greco, ma coincidenza vuole che in gallico “quercia” si dica “dervo” e “derw” in gallese. I celti arrivavano alla convinzione che il mondo fosse sorretto e nutrito da una quercia, albero preso a simbolo del creato arboreo, e che sarebbe finito contemporaneamente a una eventuale distruzione del suo tronco. Chiaro il richiamo metaforico alla sopravvivenza del mondo che conosciamo legata alla sopravvivenza della Natura.
Insieme alla quercia, i druidi veneravano anche il vischio. Pensavano che il vischio, crescendo sulle querce raccogliesse la loro energia. I celti attribuivano al vischio molte proprietà terapeutiche, per altro poi confermate in gran parte anche dalla moderna farmacopea. Addirittura, Plinio il Vecchio paragonava il vischio alla pietra filosofale degli alchimisti, affermando che i celti lo usassero come panacea universale.
Per dirla con Herman Hesse: “…gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, conosce la Verità. Essi non predicano dottrine o ricette; predicano, incuranti del singolo, la legge primordiale della Vita…”.
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