Il 2015 è stato l’anno che ha invertito la tendenza del pensiero globale sulle tematiche ambientali. Il 2019, l’anno che stiamo vivendo adesso, è decisivo per definire l’unico futuro possibile del nostro Pianeta. Ma andiamo con ordine. Nel 2015 esce la Laudato si’ di Papa Francesco, quello che oggi viene considerato il saggio di Economia Civile più importante del dopoguerra. Il Papa mette in guardia dalle gravi conseguenze dell’inquinamento e da quella “cultura dello scarto” che sembra trasformare la terra, “nostra casa, in un immenso deposito di immondizia”. Oltre all’Enciclica Papale, nello stesso anno le Nazioni Unite presentano i Sustainable Development Goals e Larry Fink, CEO del fondo Blackrock, scrive agli amministratori delegati delle imprese più importanti del mondo per dire che le questioni ambientali, sociali e di governance non rappresentano solo una questione etica, ma hanno e avranno sempre di più un chiaro impatto sui profitti. Investire in sostenibilità diventa quindi un fattore competitivo. La più importante autorità religiosa, la più importante istituzione pubblica e il più importate fondo di investimento nello stesso anno dicono la stessa cosa, con le stesse parole e nelle stesse settimane. Occorre globalizzare modelli produttivi diversi, basati sul riutilizzo, il riciclo, l’uso limitato di risorse non rinnovabili. Negli ultimi quattro anni questa nuova consapevolezza è aumentata insieme alla coscienza civile sempre più diffusa soprattutto tra i giovani che le cose non possono continuare così. E veniamo al 2019. Il Papa ha celebrato un Sinodo dedicato ai temi ambientali con un focus dedicato all’Amazzonia. La cura della terra diventa dottrina della Chiesa. E per ribadire il concetto, il suo ultimo libro, appena uscito in libreria, Nostra Madre terra, è una raccolta di saggi, interventi e omelie per definire ancora meglio e con maggiore forza la via cristiana alla difesa dell’ambiente. Quasi contemporaneamente negli Stati Uniti 181 colossi dell'economia e della finanza (tra questi Jp Morgan, Amazon, Apple, Accenture, At&t) hanno reso pubblico un documento in cui dichiarano che il capitalismo per essere buono deve prima di tutto proteggere il pianeta. Insomma, tra l'economia liberista di Milton Friedman che definiva la responsabilità sociale delle imprese esclusivamente attraverso l'aumentare dei profitti e l'economia sociale di mercato teorizzata da John Maynard Keynes arriva un nuovo sogno americano che mette al centro del fare impresa il rispetto per il pianeta e le persone. Secondo il Congresso americano la crisi ambientale in corso vale il 10% del Pil di tutti gli Stati Uniti. Investire nella sostenibilità e nella circolarità quindi conviene. Segnali non deboli per una rivoluzione in corso. Gli SDG sono diventati patrimonio comune della nuova responsabilità sociale delle imprese, si parla ormai diffusamente di “crisi ambientale e climatica”, l’Economa Circolare è al centro degli investimenti strutturali pubblici e privati in tutto il mondo. Il governo francese, per primo nel mondo, ha raccolto la sfida approvando in Senato la prima legge mai scritta sull’Economia Circolare, un vero terremoto legislativo che interviene a gamba tesa nel rapporto tra imprese, materia prima e spreco di risorse. Un paradigma che farà giurisprudenza, un testo da cui partire anche per il povero (per ora) green new deal annunciato dal nostro Paese. The times they are a changin’, cantava Bob Dylan tanto tempo fa. Tutto questo avviene in questo 2019 che ha visto centinaia di migliaia di ragazzi sfilare in tutto il mondo dietro le treccine di Greta Thunberg che, invitata all’Onu, ha guardato in faccia le nostre responsabilità e con la sfrontatezza dei suoi sedici anni ha detto: “Come osate non fare nulla?”. E infatti qualcosa stiamo facendo. Con la consapevolezza ormai matura che le imprese non sono altro rispetto al luogo dove operano e si sviluppano, e rispetto alle persone che ci lavorano. L’equità insieme alla circolarità rappresentano il nuovo traguardo da raggiungere. L’equità è il luogo della competizione. La circolarità ne rappresenta il coerente e unico modello di sviluppo possibile. Ritornano alla mente le parole di Adriano Olivetti: “Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti?”. La risposta, parafrasando Bob Dylan non è più affidata al soffio del vento. E questa è decisamente una buona notizia.
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