Il bene comune delle buone pratiche per una nuova economia sostenibile del Salento. Partendo dalla filiera degli eventi

Intervista ad Angelo Salento – Università del Salento, Dipartimento di Scienze Umane e Sociali (a cura di Italia Circolare)

20/06/2024


Cosa significa essere sostenibili quando parliamo di settori produttivi culturali e creativi? Come possiamo definire gli obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale, dei consumi e degli sprechi se il settore produttivo culturale e creativo è quello dell’organizzazione degli eventi? E se le forniture della filiera sono per lo più “agite” da piccole e medie imprese artigiane in un tessuto sociale ed economico come quello del Salento?  

Per le aziende, valorizzare al massimo gli obiettivi di sostenibilità, legati agli SDGs dell’Agenda ONU 2030 e ai criteri ESG, rappresenta un fattore competitivo decisivo non più rinviabile. Lo possono fare adottando misure concrete per ridurre l'impatto del loro modello produttivo e diventando veicolo di trasformazione in termini di efficienza e innovazione. All’interno del Progetto “Per un Salento Circolare”, Confartigianato Imprese Lecce, il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università del Salento e il CETMA di Brindisi hanno partecipato all’Avviso Pubblico finanziato dall’Unione europea – NextGenerationEU per la presentazione di proposte progettuali dedicate agli operatori della cultura nell’ambito del PNRR. Con particolare riferimento, tra gli altri ambiti, a digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo e al “Capacity building per gli operatori della cultura per gestire la transizione digitale e verde”, oltre che per “Promuovere la riduzione dell'impronta ecologica degli eventi culturali favorendo l'inclusione di criteri sociali e ambientali nelle politiche degli appalti pubblici, orientando così la filiera verso l’ecoinnovazione di prodotti e servizi”.

Abbiamo incontrato Angelo Salento, docente di Sociologia Economica e Sociologia dello Sviluppo Territoriale dell’Università del Salento.


L’Università e il suo Dipartimento di Scienze Umane e Sociali conoscono bene i temi legati alla sostenibilità e all'economia circolare delle PMI del Salento. Come si inserisce in questo specifico contesto produttivo il progetto di Capacity Building della filiera degli eventi? Quali sono le domande che stanno arrivando dalle imprese, quali sono le risposte che si possono dare?
“L’Università del Salento entra da subito come pro-partner di progetto insieme a Confartigianato. Il metodo di partecipazione scelto nasce dal presupposto che la sostenibilità non è un traguardo, una ricetta e nemmeno un risultato, ma è un processo continuo di trasformazione dove non esistono soluzioni e indicazioni precostituite. Le domande e le risposte vengono affidate in larga misura alla razionalità degli attori sociali ed economici del territorio che ne sono i naturali protagonisti. “Per un Salento Circolare” non si pone come obiettivo calare soluzioni di sostenibilità dall'alto, come troppo spesso e male viene fatto, ma di dare spazio al confronto, alla creatività, all'immaginazione e alla sensibilità ambientale maturata dal confronto consapevole e positivo tra organizzatori, imprese e istituzioni pubbliche”. 

La sostenibilità è il tema globale per definizione, ma gli obiettivi sono sempre definiti dallo specifico dei territori. Non tenerne conto spesso è stato un errore che ha rallentato il processo di transizione.
“La vita economica è territoriale, le piccole imprese, soprattutto quelle artigiane, operano “naturalmente” in modalità place-based, hanno cioè un radicamento sociale ed economico che implica una grande conoscenza dell'ambiente, delle relazioni e di tutti quei processi che stanno a monte e a valle della loro catena del valore. Questo radicamento rappresenta un forte valore competitivo. La nostra scommessa è stata quella di affidare la responsabilità della transizione sostenibile proprio alla capacità degli attori sociali del territorio salentino di immaginare e percorrere strade diverse rispetto a quelle che già fanno, partendo dal presupposto che molti dei precetti che oggi vengono considerati regole auree della sostenibilità ambientale sono già stati incarnati dalle pratiche reali e concrete dalle piccole e medie imprese, in particolare quelle artigiane, che spesso sono diventate virtuose senza saperlo. Per noi è stato molto importante innanzitutto ascoltarle. Abbiamo capito che molte pratiche sostenibili e circolari sono già in corso e che le imprese stesse, a partire da queste buone pratiche, hanno acquisito la capacità, il bisogno e l’ambizione di sviluppare nuovi passi, nuove soluzioni, di porsi nuove domande, evidenziando nuove esigenze e poi, con il nostro aiuto insieme a quello fondamentale della ricerca e sviluppo della tecnologia necessaria, individuare e sviluppare le soluzioni possibili. Con la consapevolezza che si tratta sempre di soluzioni intermedie: aggiustamenti di tipo relazionale, metodologico, processuale e tecnologico che fanno fare dei passi avanti importanti verso il raggiungimento degli obiettivi”. 

Interessante questa visione di non finitezza e di transizione come modalità di gestione della trasformazione in corso. In fondo la sostenibilità è una costante ricerca di equilibrio, ma gli equilibri cambiano. 
“Se vogliamo è anche una ricerca costante di squilibrio rispetto agli equilibri che avevi già trovato nel tempo, ma che molto spesso sono insostenibili. Se hai imparato che per una gara podistica servono 5.000 bottigliette d'acqua e sei abituato a comprarle e distribuirle lungo il percorso, devi squilibrarti in avanti per capire che quelle 5.000 bottigliette d'acqua non sono la soluzione giusta e che da qualche parte ne esiste un’altra, anche molto diversa, ma molto più efficiente, meno costosa, più equilibrata e, per questo, più sostenibile”. 

Colpiscono di questo progetto la vivacità propositiva e la richiesta concreta di soluzioni che arrivano dalle imprese che si occupano dell'organizzazione e delle forniture per gli eventi. Imprese che si sono riconosciute, forse per la prima volta, all'interno di una vera e propria filiera non solo produttiva ed economica, ma anche sociale, culturale e relazionale. E “filiera” è anche la parola d'ordine al centro delle nuove direttive europee in tema di sostenibilità e riduzione dell’impatto ambientale dei processi produttivi.
“È proprio così. In questo progetto le imprese hanno imparato ad avere una riflessività, a collocarsi dentro un contesto più ampio, quindi a responsabilizzarsi nel quadro di processi che trascendono la loro singola attività, ma che si relazionano con il contesto. Spesso sono piccole imprese, o associazioni, molto radicate sul territorio, e che per questo hanno una chiara percezione delle risorse ambientali e della loro delicatezza. Il rischio ambientale del Salento è un rischio per la loro resilienza sul mercato”.  

Il Salento può rappresentare un modello?
“L'Italia è un Paese di territori e comunità, e ogni luogo ha il suo genius loci. Le imprese salentine conoscono bene la loro terra. Negli ultimi trent’anni è cresciuta anche una sensibilità ambientale peculiare legata alla sua fragilità e ai tanti rischi che la attraversano, determinati dalla monocultura turistica e agricola legata all’ulivo e dallo sfruttamento delle risorse energetiche. Oggi il Salento è un territorio di cui abbiamo imparato a interpretare e conoscere i bisogni e la fragilità, un territorio di cui dobbiamo prenderci cura. Non tutti incarnano questo sentimento, non vorrei creare un mito della piccola impresa buona salentina, in realtà ci sono stati tanti crimini ambientali, ma sicuramente una fetta consistente della popolazione economica e imprenditoriale ha acquisito una sensibilità nuova data dalla consapevolezza”. 

Qual è la cosa che l’ha meravigliato di più seguendo questo progetto? 
“La capacità di autoanalisi delle imprese che hanno saputo individuare i problemi e al tempo stesso immaginare le soluzioni. Un aspetto che mi ha molto colpito è stata la facilità, e anche la potenza, dell'interazione e confronto tra gli operatori, i tecnologi e i sociologi. Mettere insieme le buone pratiche e le buone idee permette di fare grandi passi avanti, unendo in modo virtuoso l'aspetto pragmatico del saper fare e l'aspetto teorico della ricerca e sviluppo”. 

Non a caso l’SDG numero 17, quello più importante, riguarda la partnership per obiettivi. La sostenibilità si può fare solo all'interno di un'economia delle relazioni. 
“L'economia delle relazioni è un'economia di collaborazione interdisciplinare. Se vogliamo anche di governance sperimentale e multilivello. Questa capacità di dialogo, di mettere insieme la scienza e la tecnologia, senza semplificarla o banalizzarla, rendendola accessibile, aperta allo scambio e alla collaborazione. È questo lo scopo ultimo del progetto. Le grandi imprese possono avere un sustainability manager che conosce le ricette e le applica. Le piccole imprese non possono permetterselo, però possiamo tutti insieme creare una sorta di sapere sostenibile condiviso sul territorio. Una sorta di bene comune del saper fare che nasce dalle buone pratiche, da quello che già queste persone e queste imprese sanno fare tutti i giorni. Un know-how che finalmente dobbiamo imparare ad analizzare, misurare, certificare. Altrimenti finiamo per metterci come al solito in coda rispetto alle metriche standard, nelle quali siamo destinati a essere ultimi senza nemmeno capire quali sono le cose in cui siamo davvero bravi, da sempre”.
 

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