Il futuro esiste solo se lo sai costruire

di Paolo Marcesini

13/10/2020

Nei giorni scorsi a Mantova, nello splendido Teatro Bibiena invitato da Tea a presentare il premio Futuro Sostenibile, ho conosciuto Arianna Dal Frà, giovane studentessa della facoltà di Chimica dell’Università degli Studi di Padova. Arianna mi ha raccontato la passione con cui sin dai tempi dell’alternanza scuola lavoro al liceo cercava di capire quale fosse la quantità di sale ideale per cuocere gli spaghetti e l’idea di  creare una bioplastica naturale per buttare la pasta già salata nell’acqua che bolle senza toglierla dal suo sacchetto. Grazie alla partecipazione alla 33esima edizione di CASTIC, tenutasi nell’agosto del 2018 a Chongqing, Arianna ha potuto esporre il suo lavoro. Qui ha incontrato Bonny Liu, una giornalista della Tv di Shanghai, che non solo si è interessata al progetto, ma ha chiesto ad Arianna di partecipare alla quarta edizione di Junior Edison China, un programma di sfide scientifiche/tecnologiche tra giovani.

Arianna ha vent’anni ed è una predestinata.

Sabato durante una lezione a un master dedicato al rapporto tra Economia Circolare ed Europrogettazione, organizzato da Fondazione Triulza, ho incontrato altri studenti che cercano di capire ed interpretare con autentica passione “rivoluzionaria” il rapporto tra terzo settore ed Economia Circolare in Europa.

Cambiano i contesti e gli interlocutori dei tanti incontri pubblici che in queste settimane affollano quotidianamente le agende di chi fa il mio mestiere, ma non cambia mai la domanda di fondo.

Ne parla Arianna a nome della sua generazione, lo sottolineano i futuri progettisti che avranno a che fare con i fondi strutturali europei, lo impongono le istituzioni pubbliche chiamate a governare e interpretare il cambiamento, lo sanno le imprese che devono ridefinire il loro concetto di competitività.

Il Covid-19 può rappresentare per il nostro paese l’accelerazione definitiva verso uno sviluppo finalmente sostenibile e determinare un cambio di paradigma e di sistema all’insegna dell’Economia Circolare delle filiere produttive? Insomma, nel buio della tragedia possiamo accendere almeno una lampadina capace di illuminare la strada giusta da percorrere?

Non rispondo io. Risponde il Next Generation EU. Quello che conosciamo, sbagliando le parole, come Recovery Fund. E già in questo difetto di comprensione e traduzione semantica si annida la mancanza profonda di consapevolezza del momento storico che stiamo vivendo. Un pericolo serio. Arriveranno 209 miliardi di fondi strutturali europei, alcuni a fondo perduto, altri in prestito, una montagna di denaro pubblico che dovrà essere spesa pensando però alle prossime generazioni, a progetti capaci di una visione di futuro reale e non per rispristinare quello che abbiamo perduto.

L’Italia ha iniziato a rispondere sbagliando, tirando fuori dal cassetto una quantità infinita di pratiche polverose e invecchiate dal tempo di progetti che voleva fare in passato, ma che non aveva potuto realizzare per mancanza di risorse e soprattutto per mancanza di visione.

Adesso dobbiamo aggiustare il tiro. Abbiamo qualche mese di tempo per farlo. Impossibile sbagliare. Non ci viene chiesta la pulizia dei cassetti, i soldi del Next Generation EU non sono una cambiale tanto per dare aria agli armadi. Innanzi tutto devono dimostrare di guardare al futuro delle prossime generazioni e poi devono avere tutti la matrice comune e certificata, quella di non alterare in  peggio l’equilibrio (o, per meglio dire, il disequilibrio) esistente. 

Il 37% delle risorse, ha ribadito Ursula von der Leyen nel suo ultimo intervento pubblico, dovrà poi essere impiegato in progetti di sostenibilità ambientale, efficientamento energetico e ripensamento delle filiere produttive all’insegna della circolarità. Dal disequilibrio che c’è dobbiamo insomma tendere il più velocemente possibile all’equilibrio che ci dovrà essere all’interno delle tre dimensioni della sostenibilità, sociale, economica e ambientale.

Mai come oggi occorre quindi pensare il futuro.

Ricordo una discussione di molti anni fa con Emanuele Pirella sull'uso della parola "futuro" in comunicazione. Non la usare, mi consigliava. È una parola pericolosa, priva di significato, non serve a spiegare le idee, non serve a vendere prodotti, crea angoscia perché è sinonimo di ignoto. Quando le cose vanno bene, nessuno vuole un futuro diverso. Quando vanno male diventa un desiderio che troppo spesso non si avvera.

Aveva ragione. Perché il futuro per essere costruito ha bisogno di competenze, visione, progetti, idee, immaginazione. Altrimenti non esiste.

Ripensare le dimensioni della sostenibilità significa cambiare (in meglio) il valore delle persone, del mercato, del lavoro. La sostenibilità è un obiettivo globale, ma l’economia circolare è un progetto che riguarda noi e il contesto dove abitiamo, lavoriamo, produciamo e consumiamo. La differenza tra l’economia lineare del take, make and dispose e l’economia circolare dove niente viene buttato e che per questo è in grado di rigenerarsi da sola pone le sue fondamenta proprio nella coesione tra le tradizioni e le vocazioni produttive di una comunità e del suo territorio.

Oggi sappiamo bene che lo spreco trasformato in opportunità riguarda tutto il sistema di relazione tra il lavoro, la formazione, la produzione, i servizi e il consumo. Riguarda tutte le filiere produttive, l’energia che si risparmia e quella rinnovabile, la gestione della materia e la produzione di materie prime seconde a partire dalla lotta contro lo spreco alimentare e la rigenerazione dei suoli per una produzione biologica capace di combattere la fame nel mondo. Ma riguarda anche la progettazione, l’abitare, il costruire, la logistica, i nuovi materiali, il retail, il packaging, la gestione dei rifiuti in discarica, la ricerca scientifica, la bioeconomia, il diritto al riuso e la riparazione, lo sharing contro il possesso, il benessere dell’uomo e degli animali.

Walter Stahel, l’architetto svizzero inventore del termine CircularEconomy, ha scritto: «La circolarità, il principio che governa la natura, è alla base anche della società circolare. Quest’ultima ha consentito all’umanità primitiva di superare la scarsità di risorse, persone e competenze facendo l’uso migliore possibile delle risorse naturali disponibili; la condivisione e il riuso erano una necessità e la norma. Quando un castello o una cattedrale diventavano superflui, per esempio a causa dei cambiamenti politici, la loro struttura veniva smantellata e  le  pietre  venivano usate per costruire nuove case o ponti. Per lungo tempo, questa società circolare è  stata  la  migliore  amica dell’uomo, onnipresente e discreta, guidata da scarsità e povertà».

Di questa frase ho imparato a memoria le ultime parole. Perché essere guidati da “scarsità e povertà” è il primo passo per un futuro davvero più giusto, più uguale, più consapevole, più ricco e più circolare.

Per tutti.
 

Tag:  Covid-19economia circolarefuturoPremio Futuro Sostenibilesostenibilitàsostenibilità ambientale economica e socialeWalter R. Stahel

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