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Incendi. Cronaca di un disastro annunciato
Incendi. Cronaca di un disastro annunciato
di Claudia Ceccarelli
14/08/2020
Un albero….
Com' è leggero
un albero, tutto ali
di foglie - tutto voli
verdi di luci azzurre nel celeste
dell'aria...
(Giorgio Caproni)
Abruzzo: 8 milioni di metri quadri di bosco andati letteralmente in fumo con le fiamme che hanno minacciato la città dell’Aquila; la Sardegna sta bruciando da giorni, con oltre 21 incendi registrati in una sola giornata; e poi ancora incendi in Sicilia, Puglia, Campania.
Puntualmente, ogni estate, gli incendi boschivi colpiscono il nostro Paese. Ma quest’anno è addirittura peggio, con stime della Coldiretti che parlano di un 20% di roghi in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno; e se consideriamo che, secondo i dati raccolti dall’Effis (l’
European forest fire information system
), nel 2019 in Italia sono andati a fuoco 20.395 ettari di bosco, abbiamo una dimensione reale dell’enorme danno ambientale. Un danno quasi sempre provocato dall’uomo: tra le cause naturali infatti l’unica che ha una qualche rilevanza in Italia è il fulmine, dall’incidenza variabile e comunque molto contenuta. Il fenomeno dell’autocombustione alle nostre latitudini è praticamente impossibile e non costituisce nemmeno un dato statistico.
Per mano dell’uomo quindi ineluttabilmente la devastazione si ripete ogni anno: secondo i dati della Protezione Civile, negli ultimi 30 anni è andato a fuoco il 12% della nostra superficie boschiva. Un dato enorme e allarmante, in un paese che ha la fortuna di avere un ricco patrimonio naturale, con il 34,7% del suo territorio coperto da boschi (per il 60% di privati, con una proprietà fondiaria piuttosto frammentata, e il restante 40% di proprietà pubblica).
Ma prima di arrivare a lottare contro il fronte del fuoco, particolarmente difficile da sconfiggere durante le torride giornate estive – tutti abbiamo visto in azione senza sosta Canadair ed elicotteri, con gli annosi problemi di povertà del parco mezzi e di carenza di organico dei nostri Vigili del Fuoco –, la misura più efficace per arginare gli incendi va attuata prima che scoppino. E consiste nel gestire il territorio rurale e boschivo in chiave di prevenzione. Sia in modo indiretto, ad esempio con la realizzazione di diradamenti e di interventi di pulizia del sottobosco, sia in modo diretto, con la creazione di fasce tagliafuoco e la pulizia delle fasce laterali delle strade e di quelle sottostanti le linee di comunicazione. Per questo occorrono piani di gestione del bosco, definito come risorsa produttiva da promuovere, utilizzare e valorizzare dal punto di vista paesaggistico, economico, sociale e culturale (secondo il Testo unico in materia di foreste e filiere forestali, 2018).
Sotto questo profilo c’è ancora molto da fare: i dati resi disponibili dall’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio rivelano che nemmeno il 15% della superficie forestale italiana possiede una pianificazione di dettaglio. Malgrado esista anche una legge di orientamento che, invitando le pubbliche amministrazioni a stipulare convenzioni con gli agricoltori per la salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, potrebbe agevolare una gestione pianificata e sostenibile del bosco.
In uno dei numerosi rapporti con cui Legambiente monitora l’emergenza incendi, si legge che dalle indagini investigative emerge sempre che il fuoco, per chi lo appicca, rappresenta soprattutto un “mezzo intuitivo ed economico di
problem solving
”. L’analisi degli scopi perseguiti porta ad individuare due categorie di incendiari – praticamente escludendo i piromani, che sono eccezioni proprio come l’auto-combustione.
La prima è costituita da persone che vivono nell’ambiente rurale e ricorrono al fuoco come “modalità di gestione” del territorio, secondo una logica arretrata e del tutto avulsa dall’attuale contesto di sviluppo. Si tratta di contadini che vorrebbero eliminare residui colturali e stoppie, oppure pastori che intendono riconquistare al pascolo aree magari ricoperte di boscaglia, o ancora cacciatori che in questo modo vorrebbero far spostare e concentrare la fauna cacciabile. In questi casi, il fuoco, sfuggirebbe al loro controllo per imperizia, negligenza o sottovalutazione del rischio, diventando causa di gravi devastazioni in termini di perdita di patrimonio boschivo, di biodiversità e di pericolo per gli uomini.
La seconda categoria invece agisce sulla base di fini speculativi più ampi e stratificati, che vanno dalla volontà di mantenere uno stato di emergenza, ritenuto in qualche modo vantaggioso, allo smaltimento illegale di rifiuti, dalla mancanza del collaudo di opere male eseguite fino a conflitti di varia natura tra privati e Pubblica Amministrazione. Conta notare che per gli investigatori non sempre è facile operare una distinzione netta fra queste due macro-categorie.
Per dare alcune cifre, dal 2016 al 2018 sono state accertate 13.219 infrazioni tra incendi dolosi, colposi e generici, le denunce sono state 1.280, mentre gli arresti 57 e i sequestri 355.
Certo, esistono vincoli temporali stabiliti per legge che regolano il futuro utilizzo dell’area interessata da incendio per impedire di trarne vantaggi economici: un vincolo quindicennale, per cui essa non può avere una destinazione diversa da quella preesistente; un vincolo decennale, per cui non vi si possono realizzare edifici, strutture e infrastrutture che non fossero già state autorizzate prima del disastro; ed infine un ulteriore vincolo di cinque anni volto a vietarvi attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica autorizzazione concessa dal Ministro dell’Ambiente per ragioni documentate.
Sul piano della durata, i vincoli sono dunque abbastanza estesi e dissuasivi. La debolezza della norma risiede piuttosto nella sua applicazione da parte dei Comuni, a cui è affidato il compito di perimetrare le aree interessate dagli incendi e mapparle al catasto. Purtroppo queste operazioni non sempre risultano condotte in modo adeguato.
Alla luce della situazione particolarmente grave che si è creata quest’anno, insieme alla richiesta di maggiori controlli e prevenzione, accompagnati da una verifica dei risultati della controversa riforma Madia sulla soppressione del Corpo forestale dello Stato (riforma che fra l’altro, per ragioni diverse, ha ricevuto una recente bocciatura dalla Corte europea dei diritti dell’uomo), Legambiente, per voce del suo Presidente Stefano Ciafani, ha sollecitato il ricorso ad adeguati strumenti normativi, come la legge 68/2015 che ha introdotto gli ecoreati nel codice penale.
“Oltre al delitto di incendio doloso – ha spiegato Ciafani –, nei casi più gravi, si può configurare, per le conseguenze che hanno i grandi incendi boschivi, il delitto di disastro ambientale, introdotto con la legge 68/2015 e che prevede fino a 15 anni di reclusione più le aggravanti”.
E se quindici anni vi sembrano tanti, per ripristinare la condizione di ricchezza in biodiversità e di sicurezza di un luogo distrutto da un incendio non ne sono sufficienti cento.
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