Italia Circolare, le ragioni di una sfida

di Francesco Morace

25/06/2019

Nel cambiamento epocale in cui siamo immersi emerge un rischio che bisogna evitare: la perdita di valore delle cose, delle persone, della loro diversità, risucchiati in una dinamica ricorsiva, automatica, inconsapevole, tutt’altro che circolare. La circolarità implica un “circolo virtuoso” che accresce il valore, lo trasforma, lo rigenera, mentre siamo invece in balìa di un modello estrattivo, regolato da algoritmi che impongono una logica verticale e sterile. Mi spiego meglio. Con l’affermazione della Rete, intesa come madre e matrice di tutte le informazioni e conoscenze, siamo portati ad adottare un modello estrattivo del valore, abbandonando la modalità trasformativa che implica invece un attraversamento della diversità che richiede ingegno, saper fare, creatività e soprattutto responsabilità nelle scelte. Non è colpa degli algoritmi - utilissimi in molte occasioni: è solo colpa nostra e della nostra pigrizia mentale.

È colpa della mancanza di tempo e di energie, ma è anche mancanza di coraggio, laddove l’Italia potrebbe giocare un ruolo in prima fila, da protagonista, nell’affermazione di una economia circolare che non è solo recupero e riciclo, ma anche e soprattutto rigenerazione creativa. Potrebbe essere riconosciuto a livello planetario come il modo italiano di ripensare la sostenibilità, attraverso un’estetica che eviti il neopauperismo, un linguaggio e una grammatica che rilancino una crescita felice, sana e virtuosa. A questo proposito torna utile l’esempio del web. Il modello estrattivo - che si incarna nella tecnica di raccolta dei Big Data - implica che il valore sia già presente nel sottosuolo del web e che vada solo estratto (nel peggiore dei casi sottratto) dall’enorme mole di dati a disposizione, attraverso l’uso di algoritmi che diventano le trivelle o le pompe del web, esattamente come avviene nell’estrazione del gas o del petrolio, con le macchine realizzate a questo scopo: l’attività più improduttiva che si segnali nella storia dell’uomo. Quanto di più lontano ci sia dall’economia circolare. Spesso i regimi autoritari nascono e si sviluppano nei Paesi e nei territori più ricchi di risorse naturali, perché in quel caso l’attività di trasformazione creativa che tiene allenata la mente è sostituita dal puro controllo delle fonti e dei giacimenti naturali, che appunto “giacciono” e aspettano solo di essere estratti.

Questo sta accadendo nel mondo digitale in modo ancor più veloce e profondo che non nel mondo molto fisico dell’energia, cioè in quello che per molto tempo è stata l’unica dimensione plasmata dalle regole di sfruttamento delle risorse naturali. Il rischio è che la Russia o ancor peggio l’Arabia Saudita, paesi in cui l’assoluto controllo delle materie prime ha creato nella storia dittature e regimi fortemente autoritari, con un potere energetico inevitabilmente concentrato nelle mani di pochi, divengano anche concettualmente l’unico modello di riferimento nella società globale. L’Italia può incredibilmente costituire il modello alternativo a questo triste destino. Il modello estrattivo può infatti costituire una scelta sostenibile solo nel caso in cui qualcuno continui a immettere dosi massicce di qualità e valore all’interno del sistema: in termini estetici, etici, creativi e progettuali.

L’Italian Style e il made in Italy hanno alimentato per decenni - in modo creativo e straordinario - un mondo del consumo che in altri paesi si è invece appiattito sempre più su modelli estrattivi fondati sulla simulazione, emulazione, imitazioni e nei casi peggiori sulla contraffazione: pensate al mondo del tessile abbigliamento e al fast fashion spagnolo o svedese. In questo scenario l’Italia può e deve giocare un ruolo da protagonista, fondato su un modello che da sempre è trasformativo, tipico di un Paese povero di materie prime e ricco di ingegno per poterle plasmare, trasformare, producendo bellezza e qualità, e proponendo il circolo virtuoso dell’Italia Circolare.

Come abbiamo sottolineato ormai da tempo, l’italian factor mette insieme il valore umano, l’intelligenza contestuale, il tocco d’artista e il taylor made. Un magico mix di qualità cui solo gli italiani sono capaci e che può essere sintetizzato in una affermazione che diventerà il nuovo slogan dei prossimi decenni:  ciò che vale non ha prezzo.  Il fattore che moltiplica la potenza dell’italianità nel mondo (e potenzialmente dell’italian way e delle imprese italiane) valorizza il gusto, la relazione, il colpo d’occhio e l’attenzione al dettaglio: tutti elementi qualitativi, difficilmente monetizzabili e sicuramente non riconducibili alle logiche lineari, economiche, finanziarie, tipiche del modello estrattivo. Se a questo aggiungiamo la visione strategica e la logica virtuosa dell’economia circolare, che riguarda la vita concreta delle persone, ecco emergere un nuovo concetto di “valore”, di human value in linea con l’italian way. Un valore che non ha un costo e nemmeno un prezzo, ma incarna la forza del gusto, dei legami, della cultura, della bellezza e dell’autenticità.

Ciò significa affrontare i mercati con il coraggio del futuro, costruendo un’esperienza partendo dalle radici, dalla rigenerazione e dalla consapevolezza che la nostra forza risiede nei territori, ma in una logica circolare, espansiva, e non difensiva. A quel punto nessuno potrà più fermarci.
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