Siamo entrati nella terza rivoluzione industriale che prevede la responsabilità pubblica e privata, soggettiva e collettiva della riduzione degli impatti ambientali, che ridefinisce la responsabilità sociale delle imprese e insieme a loro la consapevolezza dei consumatori rispetto alla scelta di beni e servizi sempre più compatibili con i bisogni di sostenibilità economica, sociale ed ambientale, che impone alle filiere produttive di adottare i principi dell’economia circolare che risparmia materia prima e redistribuisce all’interno delle filiere materie prime seconde. Se l’economia si basa sulla necessità irrinunciabile di comunicare, produrre energia e muoversi, adesso le sfide si chiamano digitalizzazione, connessione, condivisione, energie rinnovabili, mobilità, internet delle cose. Alla base di questo un nuovo modello di società la volontà di ripensare totalmente i modelli scrivendo un nuovo patto che scommette su un futuro zero emissioni: “Il punto di svolta è stato nel 2019 quando il costo dell’energia solare ed eolica è sceso sotto quello del gas naturale e molto sotto quello del petrolio, del carbone e del nucleare. Nel 1979 il costo fisso per produrre un watt di energia era 78 dollari, oggi è 43 centesimi. E il costo marginale è zero”.
Intervistato dal Corriere, cita l’esempio di una regione nell’Alta Francia dove erano basate le vecchie industrie del carbone, dell’acciaio e dell’auto: “Dal 2010 la mia squadra di consulenti ha iniziato a lavorare con il governo, gli imprenditori, la società, coinvolgendo migliaia di persone in assemblee per discutere i progetti. Così stanno trasformando vecchie città di minatori ammodernandole con l’energia solare ed eolica e lanciando nuove imprese. Hanno anche unito sette università e 250 scuole secondarie in un consorzio per pensare in termini di educazione digitale. Questo modello funziona perché la Terza rivoluzione industriale non è centralizzata, ma si basa su infrastrutture distribuite, aperte, trasparenti”.
E L’Italia? Su Repubblica l’economista americano definisce il nostro rischio: “Gli stranded asset sono i combustibili fossili che rimarranno nel sottosuolo a causa della caduta della domanda e dell’abbandono delle relative infrastrutture. Paesi dipendenti dai fossili come l’Italia saranno presi fra due fuochi: il crollo del prezzo delle rinnovabili da una parte e gli stranded asset fossili dall’altra. Il mercato detta legge e i governi di tutto il mondo dovranno adattarsi rapidamente se vogliono sopravvivere e prosperare”.
Jeremy Rifkin, nato a Denver nel 1943, economista, sociologo e saggista, è uno dei più brillanti pensatori del nostro tempo. Attivista del movimento pacifista statunitense negli anni sessanta e settanta, ha fondato, nel 1969, la Citizens Commission con l'intento di rendere noti i crimini di guerra commessi dagli americani durante la guerra del Vietnam. È fondatore e presidente della Foundation on Economic Trends (FOET) e presidente della Greenhouse Crisis Foundation. Consigliere molto ascoltato all’interno dell’Unione Europea e della Repubblica Popolare Cinese, Rifkin insegna alla Warthon School dell'Università di Pennsylvania il rapporto fra l'evoluzione della scienza e della tecnologia e lo sviluppo economico, l'ambiente e la cultura.