La chimica circolare che rigenera la materia

di Andrea Begnini

12/08/2020

La chimica circolare che rigenera la materia
Depolimerizzazione. È un po' la parola chiave per comprendere un modello di recupero della materia prima che non passa più del semplice riuso del rifiuto riciclato, ma punta a sviluppare nuovi processi chimici per ottenere una materia prima secondaria con le stesse caratteristiche di quella vergine. Grazie a questo processo, che può essere ottenuto tramite trattamento chimico o termico, è possibile smontare i polimeri e e produrre composti ad alto valore aggiunto.

La depolimerizzazione viene largamente praticata soprattutto su materiali come il PET e il nylon. Prada Re Naylon, per esempio, è un filo di nylon rigenerato che può essere riciclato all’infinito senza perdita di qualità del materiale e viene ottenuto dai rifiuti di plastica presenti negli oceani. Il nylon è sottoposto a un processo di depolimerizzazione chimica grazie al quale il materiale ritorna alla purezza originaria, dopo di che il prodotto è nuovamente trasformato in polimeri attraverso un processo di polimerizzazione. 

Un altro esempio celebre, in questa direzione, è Econyl di Aquafil, il nylon realizzato non dal petrolio ma dal riciclo di materiali giunti a fine vita, tra cui le reti da pesca recuperate dal mare, ma anche tappetti e moquette prodotte nel nord America. Il risultato è un filo di poliammide utilizzato in prevalenza (oltre 70%) per realizzare moquette e rivestimenti per pavimenti, compresi quelli delle automobili. Oggi, con 3000 dipendenti e 16 stabilimenti in tre continenti, Aquafil è il nono produttore di Nylon al mondo.

Walter Stahel, architetto svizzero considerato uno dei padri dell’economia circolare, l'ha chiamato “de-bonding”, ovvero il recupero delle stesse molecole di cui sono fatti i materiali. E ha recentemente raccontato l'esempio di una azienda svizzera, la Tyre Recycling Solutions, che ha sviluppato un sistema in grado di scomporre un pneumatico con getti d'acqua per recuperare le materie prime come il poliuretano e ripartire da zero. L'azienda lavora con vari produttori di pneumatici e la gomma polverizzata che ricava può essere usata per produrre nuovi pneumatici. La University of Surrey, invece, lavora a un progetto finanziato dall’Unione europea e indirizzato allo sviluppo di processi di depolimerizzazione non solo applicabili a nylon e polipropilene ma a numerosi altri materiali. Sempre nell’area della chimica circolare, un nuovo polimero prodotto dai Lawrence Berkeley National Laboratories di Los Angeles consente di immergere semplicemente i prodotti realizzati con questo materiale in uno specifico acido che è in grado di separare tutti gli additivi per riottenere, in sostanza, la materia di partenza.

In Nord America, il progetto Pyrowave lavora sulla depolimerizzazione catalitica della plastica mediante microonde in vista di una possibile applicazione industriale: le materie plastiche di diverso tipo vengono scomposte in un olio contenente i costituenti principali. De Fuel, invece, è un innovativo sistema di trasformazione di materiali plastici mediante un processo di depolimerizzazione termo-catalitica che permette di ottenere olio combustibile a costi contenuti: utilizzando materia prima come imballaggi, scarti di lavorazione e rifiuti urbani, l’impianto è in grado di produrre olio combustibile pari a un litro per ogni chilogrammo di plastica introdotto. 

Infine, Carbios, grazie alla partnership con grandi aziende come l’Oréal e Pepsi, punta ad arrivare alla scomposizione della plastica attraverso un enzima, che verrà prodotto su scala industriale nel giro di cinque anni, in grado di depolimerizzare il composto per oltre il 90% in 10 ore. L’enzima è stato geneticamente modificato per migliore le capacità di dissoluzione dei polimeri del PET con cui sono composte le bottiglie di plastica a un costo di produzione che è pari al 4% del costo della plastica vergine.
 

Tag:  depolimerizzazioneeconomia circolarenylonrifiuti di plastica

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