La difesa della biodiversità culturale passa dai centri storici

di Andrea Begnini

06/07/2020

La biodiversità consiste nella varietà e nella variabilità degli organismi viventi e dei sistemi ecologici di cui fanno parte, il che include la diversità all'interno delle specie, tra le specie e degli ecosistemi. In sostanza, la diversità degli esseri umani non sta soltanto tra le persone, le etnie e le culture ma opera anche sui livelli di organizzazione biologica che coinvolgono la comunità e gli ambienti che occupa, tra abitanti e tessuto commerciale. Tra i diversi piani di un sistema ambientale in cui si instaurano complesse funzioni di interdipendenza che, nella specificità delle città italiane e dei loro centri storici, sono testimonianza del processo evolutivo degli esseri viventi, i quali non si adattano passivamente alle condizioni ambientali ma le modificano costruendo percorsi e possibilità evolutive, occupando e formando tutti gli habitat disponibili. 

La biodiversità culturale rappresenta e racconta l'identità di ciascun popolo, il dialetto, le varietà linguistiche e alimentari, il folklore, lo sviluppo delle conoscenze, delle arti e delle tradizioni che rischiano di andare perse in questo impasto di generico che è la globalizzazione applicata ai nostri centri storici. L'articolo 1 della dichiarazione universale dell'Unesco sulla diversità culturale spiega: “La cultura assume forme diverse nel tempo e nello spazio. La diversità si rivela attraverso gli aspetti originali e le diverse identità presenti nei gruppi e nelle società che compongono l'Umanità. Fonte di scambi, d'innovazione e di creatività, la diversità culturale è, per il genere umano, necessaria quanto la biodiversità per qualsiasi forma di vita. In tal senso, essa costituisce il patrimonio comune dell'Umanità e deve essere riconosciuta e affermata a beneficio delle generazioni presenti e future”.

In Italia la rappresentazione delle attività artigianali e artistiche e della micro imprenditorialità connessa a questi settori consegnano una geografia che rende ogni considerazione sulla biodiversità culturale come ineludibile ed esistenziale. Secondo i dati di Unioncamere e Confartigianato le micro imprese (con meno di 10 dipendenti e con fatturato o totale di bilancio non superiore a 2 milioni di euro) sono il 94,8% delle aziende complessive; tra queste, oltre 1,3 milioni sono imprese artigiane che occupano 3 milioni di addetti. Si tratta, quindi, di realtà che, oltre a salvaguardare e valorizzare un patrimonio inestimabile di arti e mestieri, conservano dentro di sé un alto livello occupazionale. In questo senso, l'articolo 3 Unesco testimonia come: “La diversità culturale ampli le possibilità di scelta offerte a ciascuno; sia una delle fonti di sviluppo, inteso non soltanto in termini di crescita economica, ma anche come possibilità di accesso a un'esistenza intellettuale, affettiva, morale e spirituale soddisfacente”. Proprio per difendere questa biodiversità il governo francese sta per dare il via libera a un provvedimento che affiderà alla Caisse des Dépots, l'istituto finanziario pubblico francese che rende conto direttamente al parlamento, il compito di rilevare 10mila punti vendita di vicinato e botteghe artigiane a rischio di chiusura. L'obiettivo è quello di salvare i centri storici della città devastati dall'omologazione delle strutture commerciali già provate dalla concorrenza dell'e-commerce e dalla recente pandemia del Covid-19. I negozi e le botteghe artigiane, escluse quelle alimentari, verranno, quindi, rilevate direttamente dallo Stato che provvederà ad affittarle a prezzi agevolati a chi ne garantirà l'apertura. Si tratta, in sostanza, di una vera e propria nazionalizzazione che punta a proteggere la biodiversità delle attività artistiche e artigiane operando direttamente sul controllo della proprietà.  

Le riflessioni connesse al discorso aperto dalle recenti intenzioni del governo francese sulla nazionalizzazione delle botteghe artigiane diventano fondamentali anche e soprattutto in un paese come il nostro, da sempre costruito mattone su mattone con le competenze artistiche e  con le abilità artigiane. Perché il tessuto della biodiversità culturale tiene assieme non solo l'identità dei nostri centri storici ma una parte importante della loro stessa economia. A partire da un nuovo turismo come quello esperienziale che apre oggi le porte a un flusso di persone interessate alla visita delle botteghe, dei laboratori di antichi mestieri o della nuove creatività, delle piccole produzioni di qualità e delle tecniche antiche del saper fare. Politiche e scelte su questo tema sono necessarie ora, in un momento di difficoltà post pandemia che accentua la fragilità del tessuto artigianale e artistico italiano esponendolo, ancora di più, al rischio di essere smontato pezzo a pezzo e svenduto alla dittatura del generico.
 

Tag:  artigianatobiodiversità culturalecentri storiciSaper Fare italiano

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