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La raccolta di cibo selvatico può curare la plant blindness, per vedere tutta la bellezza delle piante
La raccolta di cibo selvatico può curare la plant blindness, per vedere tutta la bellezza delle piante
di Claudia Ceccarelli
02/02/2023
Il poco tempo trascorso in mezzo alla natura è da ritenere la principale causa della
plant blindness
, quella “cecità alle piante” che non consente alla maggior parte di noi (in misura maggiore agli uomini rispetto alle donne) di avere consapevolezza della flora che ci circonda. È questa la conclusione a cui giungono Bethan Stagg dell'Università di Exeter e Justin Dillon dell'University College di Londra nel loro ultimo studio sul tema.
La “plant blindness” è stata individuata nel 1998 da James Wandersee ed Elisabeth Schussler, due botanici americani che l’hanno definita come “l’incapacità di vedere o notare le piante nel proprio ambiente”, da cui deriva “l’incapacità di riconoscere l’importanza delle piante nella biosfera e per le attività dell’uomo”.
Un difetto di percezione da cui discende il mancato apprezzamento delle “caratteristiche estetiche e biologiche uniche delle piante”, che conduce a ritenerle “in modo sbagliato e antropocentrico come inferiori agli animali, portando all’erronea conclusione che esse siano meno meritevoli di considerazione”.
Lo ha spiegato lo scienziato di Neurobiologia Vegetale Stefano Mancuso, con un esempio efficace: “Se mostrando delle immagini con una grande quantità di piante e un animale, grande o piccolo che sia, noi chiedessimo: che cosa vedi? La risposta sarebbe certa: un leone, una gazzella o anche un animale piccolo come la rana, nonostante oltre il 90% dell’immagine sia composta di piante”.
Lo studio di Stagg e Dillon giunge a chiarire che la mancanza di conoscenza e apprezzamento per la flora locale non è una qualità intrinseca dell'uomo, ma deriva piuttosto dal minor tempo trascorso con le piante, che porta a ritenerle "meno vive" degli animali, e da una scarsa conoscenza delle specie vegetali, caratteristica soprattutto delle civiltà molto urbanizzate.
L’analisi di 326 articoli sul tema pubblicati su riviste accademiche tra il 1998 e il 2020 ha consentito anche di rintracciare una possibile cura a questa particolare forma di “cecità” che ci affligge (e anche qui con differenze tra gli anziani, più sensibili alle piante, e i bambini, decisamente meno interessati), che consiste nell’insegnare ai giovani come procurarsi del cibo selvatico.
Dunque una passeggiata nei boschi alla raccolta di more o lamponi o fichi o ciliegie, o ancora castagne, nocciole, noci, o ancora, se si conoscono e con le adeguate precauzioni, funghi, può rappresentare un ottimo sistema per suscitare curiosità, familiarità e creare quella quotidianità di rapporto, che è alla base di ogni relazione di crescita reciproca e di rispetto.
La ricerca ha infatti mostrato come un declino dell'esperienza significativa con le piante porti a un processo ciclico di disattenzione.
Avere dunque esperienze di prima mano di piante commestibili e utili in ambienti locali è quanto serve a ciascuno di noi per riuscire a vedere bene il verde che ci circonda e a capirne l’importanza: "esporre le persone a contesti di biodiversità e cambiare le loro idee sul valore percepito delle piante sono le chiavi per spezzare il ciclo della disparità di consapevolezza delle piante", affermano i ricercatori.
“Le persone che vivono in paesi altamente industrializzati hanno un deficit di attenzione alle piante a causa di un calo dell'esperienza rilevante con esse – spiega Stagg –. Chi viveva nelle comunità rurali e nei paesi a basso e medio reddito aveva maggiori probabilità di avere un'elevata conoscenza delle piante a causa della dipendenza dalle risorse naturali. È però interessante notare che lo sviluppo economico non porta necessariamente alla perdita di questa conoscenza se le comunità hanno ancora accesso ad ambienti ricchi di biodiversità.”
Non solo la riduzione del tempo trascorso nell’ambiente naturale è responsabile della plant blindness, ma anche il minor tempo trascorso in famiglia, perché tanta parte delle conoscenze del mondo vegetale era affidata soprattutto alla trasmissione orale tra i parenti più anziani e i bambini.
“La chiave sta oggi nel dimostrare alcuni benefici diretti delle piante alle persone, insieme con i benefici indiretti attraverso le loro applicazioni farmaceutiche e industriali, o il loro valore per le società remote e tradizionali – aggiunge Stagg –. Il livello di conoscenza botanica nelle generazioni più giovani è dimostrato essere direttamente correlato alla loro utilità percepita.”
E conclude: "Raccogliere le 'piante selvatiche' per consumarle mostra notevoli promesse in questo senso, sia come un modo per introdurre le persone a più specie vegetali sia per collegarle con alcuni usi sanitari, culturali e ricreativi dei giorni nostri".
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