La sociologia (sostenibile) dei consumi turistici

di Redazione

22/11/2023


Come è nata e si è evoluta la pratica del viaggio per vacanza? In che modo il turismo ha accompagnato i cambiamenti della nostra società? Quali sono le cornici teoriche dentro cui si colloca il turismo come attività del consumo? Quali saranno i suoi cambiamenti legati alla digitalizzazione e alle trasformazioni tecnologiche del nostro contemporaneo? 
Sociologia dei consumi turistici di Fabio Massimo Lo Verde, Paolo Corvo e Vincenzo Pepe con My Lab è un manuale molto interessante che, con rigore accademico, risponde a queste e a molte altre domande che hanno per oggetto il turismo raccontato nell'era della complessità. 
Per gentile concessione dell’editore e dei suoi autori ne pubblichiamo un estratto che racconta l'evoluzione storica, semantica e sociologica della parola turismo e delle sue tante definizioni.


Nel corso degli ultimi cinquant’anni il turismo come pratica diffusa di consumo è stato definito in diversi lavori. Mathieson and Wall (1982, p. 1), ad esempio, così come in parte fanno Buckart and Medlik (1974, p. v), definiscono turismo sia lo spostamento di persone in luoghi differenti da quelli di residenza o regolarmente frequentati per lavoro, sia le attività che vengono da costoro intraprese in questi luoghi, sia, ancora, le strutture create per rispondere alle loro esigenze. In realtà questa definizione, che può essere considerata routinariamente impiegata da molti studiosi (Franklin, 2002, p. 27), aggrega forme del viaggio che non sono necessariamente turistiche (viaggio di lavoro, viaggio per ragioni di salute ecc.) e che spesso necessitano di definizioni ulteriori. Altri studiosi (Shaw, Williams, 1994, p. 5; Judd, Fainstein, 1999) si concentrano sulla durata dello spostamento che deve intendersi con il soggiorno in un luogo diverso da quello di residenza per almeno una notte e per un periodo inferiore ad un anno. Il limite di queste definizioni sarebbe, secondo Franklin, quello di confinare la pratica turistica ad una attività di leisure e di ricreazione, cambio di prospettiva che pone ulteriori problemi definitori, come già evidenziato da Rojek (1995). Insomma, limitandolo alla dimensione del leisure o, d’altra parte, alla dimensione della mobilità nello spazio, si perderebbero connotazioni o aspetti della pratica che caratterizza il fare turismo sia dal punto di vista del consumatore turista che domanda turismo – in termini non solo di servizi, ma di più ampia domanda di contenuti differenti finalizzati all’esperienza turistica – sia dal punto di vista degli attori produttori – imprese e attori economici e culturali in genere – che offrono servizi necessari per vivere quell’esperienza turistica. Limitarsi inoltre ad osservare il turismo come un prodotto dell’industria dell’intrattenimento ridurrebbe la pratica ad una forma di consumo passivo dei luoghi e dell’esperienza turistica, quando invece gli studi, a partire dalla fine degli anni Ottanta in poi, evidenziano come le declinazioni in cui si articola questa domanda di esperienza siano assai differenti almeno quanto differenti sono i profili di turista che oggi sono presenti (cfr. cap. 2). Piuttosto che vedere il turista come un attore passivo del consumo che subisce l’inganno della casa produttrice di beni di consumo – come non lo è qualsiasi consumatore – questo va visto come un attore attivo che piuttosto usa ironicamente l’“autoinganno” (Cohen, Taylor, 1976; Urry, 1990) nella percezione dei luoghi che costituiscono destinazione di vacanza a fini esclusivamente ludici, perché anche questo aspetto entra a fare parte dell’esperienza turistica

Consideriamo dunque il turismo come un fenomeno sociale e culturale che caratterizza significativamente soprattutto i Paesi a sviluppo avanzato (Franklin, 2003, pp. 21 e ss.; Wearing et al., 2010, p. 2; Boyer, 2007; Cohen, 2017; Zuelow, 2015) la cui dinamica è il risultato di un insieme di pratiche differenti che riguardano produzione e consumo di servizi e che dunque va analizzato secondo una prospettiva che tenga conto dei fattori micro, meso e macro-sociali che intervengono nel declinarsi di domanda e offerta turistica. Domanda e offerta che è mutata nel tempo per via dei cambiamenti culturali e soprattutto economici che hanno caratterizzato lo sviluppo dei paesi occidentali (Urry, 1990, 1995, 2007). Tra il 1950 e il 2019 – anno precedente a quello in cui le spese per i consumi turistici si sono interrotte quasi del tutto a causa della diffusione della pandemia da Covid-19 – la crescita media del numero di viaggiatori si attesta intorno al 6,5% all’anno, giungendo, dai 25 milioni del 1950, a circa un miliardo e 400 milioni del 2019. Si tratta di un processo di diffusione e di “democratizzazione del viaggio” (Wearing et al., 2010, p. 3) che ha determinato non solamente una spinta importante all’economia di diversi Paesi nel mondo, ma che ha anche contribuito alla diffusione di una cultura del viaggio che è ormai una componente importante, nell’immaginario collettivo, della modalità in cui si ritiene vada investito, oltre che consumato, il proprio tempo libero (Lo Verde, 2012). 

Anzi, come è stato sostenuto, il turismo va analizzato come fenomeno che ha a che fare con la transizione che ha costituito la nascita della modernità, con la diffusione dei consumi di massa, con la globalizzazione dei mercati e l’aumento di flussi di merci e di persone in genere, con il diverso modo in cui ciascuno, nella società, investe rispetto al proprio immaginario, ai propri bisogni, ai propri desideri, e soprattutto, alle proprie risorse. Viaggiare contiene componenti trasformative e “redentive” (Franklin, 2002, p. 2) importanti, interviene nella dimensione identitaria di ciascuno di noi, tant’è che il viaggio viene considerato da sempre come una metafora dell’immergersi in un percorso orientato a scoprire luoghi non noti, siano essi quelli esteriori, dello spazio reale, sia interiori, cioè dell’anima. E tutto ciò rende il viaggio, il viaggiare e il viaggiare per vacanza, in particolare, un fenomeno sociale oltre che economico, culturale e anche politico. Un fenomeno sociale tutt’altro che secondario o superficiale. Piuttosto la vacanza va vista come un laboratorio culturale in cui le persone hanno potuto sperimentare nuovi aspetti delle loro identità, delle loro relazioni sociali o delle loro interazioni con la natura e anche utilizzare le importanti capacità culturali di sognare a occhi aperti e di viaggiare con la mente […] un’arena in cui la fantasia è diventata un’importante pratica sociale. (Löfgren, 1999, tr. it. 2001, pp. 6-7)

Come vedremo, l’incremento dell’industria turistica globale verrà letto da alcuni studiosi come una delle modalità in cui si diffonde la cultura del consumo di massa e certamente come uno degli effetti dell’aumento di tempo libero a disposizione delle persone nelle società a sviluppo avanzato, dell’aumento di reddito disponibile, della maggiore accessibilità ai trasporti – soprattutto ai trasporti aerei, dagli ultimi venti anni del XX secolo in poi – dei cambiamenti demografici, ma soprattutto del diverso significato che produzione e consumo in genere assumono per l’identità degli individui nella società contemporanea. “Comprare” un viaggio – come vedremo nelle diverse modalità in cui si articoleranno le modalità di acquisto e di consumo del viaggio – assumerà significati che vanno ben al di là del semplice accesso ad un “tempo della vacanza”, divenendo piuttosto una modalità di consumo di pratiche diverse che contribuiscono alla costruzione dell’identità personale, ciò che determinerà l’attribuzione di un significato specifico al viaggio per vacanza, spesso finalizzandolo alla ricerca del proprio “sé autentico” (Urry, 1997). 

Non mancano gli studi che evidenziano come in realtà una sorta di “turismo di larga scala” sia esistito da sempre (Harrison, Sharpley, 2017, p. 1; Zuelow, 2015). Pellegrinaggi di tipo religioso, spostamenti di cospicue masse di popolazione per la partecipazione a feste o a giochi – fra gli Egizi o, in età classica, in Grecia o, ancora, nella Roma repubblicana e imperiale quando era assai diffuso il “turismo termale” – sono stati presenti anche in passato. Ma è dal XVIII secolo in poi, come dicevamo, che possiamo cominciare a parlare di un turismo che diverrà, in seguito, di massa. A contribuire alla diffusione del viaggio vengono individuati – oltre alla già citata domanda di classicità cui rispondeva il Grand Tour – alcuni orientamenti culturali dell’epoca nei Paesi a sviluppo più rapido in cui si diffonderà il viaggio per vacanza, quali l’Inghilterra o la Francia. Ad esempio la diffusione di una cultura medica orientata alla “talassoterapia” – l’idea che l’area balneare e l’immersione nell’acqua marina fossero terapeutici (Ibid.). O, come si diceva, la ricerca di paesaggi unici, di bellezze naturali, di luoghi ameni (Löfgren, 1999, tr. it. 2001). Thomas Cook, il noto inventore e primo organizzatore di viaggi-vacanza d’oltreoceano, potrà sfruttare certamente questo nuovo trend culturale coevo alla rivoluzione mobiletica del periodo. Fu proprio la diffusione della ferrovia e la riduzione dei costi di trasporto verso le destinazioni turistiche, quali, ad esempio, le spiagge di Brighton in Inghilterra o in altri Paesi europei (Corbin, 1995) o, con navi a vapore, verso quelle d’oltreoceano di Atlantic City o della costa californiana (Harrison, Sharpley, 2017) a determinare la diffusione della prima forma di “vacanza” e di una loro “democratizzazione”. Cook, come vedremo, avrà l’idea di organizzare pacchetti turistici la cui vendita sarà possibile proprio perché l’idea della vacanza, anche quella d’oltreoceano, cominciava a circolare ampiamente fra le classi agiate e le classi medie. E sarà uno dei primi capitani dell’“industria della vacanza”.
 
Fabio Massimo Lo Verde, Paolo Corvo e Vincenzo Pepe, Sociologia dei consumi turistici, MyLab - Pearson, 2023

Tag:  sociologia dei consumi turisticistoria del turismoturismoturismo sostenibile

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