La sostenibile bellezza della nostra Costituzione

di Giuseppe Cesaro

23/05/2023


Odio gli indifferenti. Ancora di più, però, odio i “differenti”. In che senso, “differenti”? Nei sensi suggeriti da alcune accezioni del verbo latino “differo”: diffamaredisseminarerinviare. I differenti, allora, sono coloro i quali diffamano la verità e, disseminando falsità e menzogne, ne rinviano il riconoscimento e la realizzazione. A quale verità mi riferisco? A quella incarnata dalla nostra Carta costituzionale: “senza dubbio il migliore prodotto politico-culturale delle vicende del secondo dopoguerra”, come scrive Gustavo Zagrebelsky, nel suo, sconfortato e doloroso, “Tempi difficili per la Costituzione”, appena uscito per Laterza. Volume imperdibile, per chiunque voglia capire quale logica sottenda ai continui tentativi di snaturare la nostra Costituzione, per metterla in condizione di “non nuocere”.

Sin dal giorno successivo alla sua promulgazione, infatti, la nostra Costituzione – la cui maxima culpa è quella di essere “accentuatamente «trasformatrice»” (è questa la qualità a motivare “la sorda avversione nutrita nei suoi confronti dalle forze politiche e culturali conservatrici”) – è stata umiliata e offesa, e la sua piena ed effettiva applicazione è stata, continuamente, differita. Il tutto, in attesa dell’avvento della “grande riforma” che l’avrebbe, finalmente e definitivamente, affossata.

Ma chi attenta alla Costituzione? “Il Potere”. Attenzione: non questo o quel potere che, del Potere, non sono che incarnazioni, rappresentazioni, forme. Chi vuole liberarsi, a qualunque costo, delle costituzioni è una forza – “Il Potere”, appunto – che si considera “onnipotente” e che, per la sua stessa natura, è insofferente a qualunque interferenza, intromissione, limitazione o vincolo. Il Potere è Dio. E, da che mondo è mondo, Dio è La Legge. Legge al di sopra di qualunque legge. Al massimo, i politici possono aspirare a divenire le sue vestali. Chi alza la testa, verrà eliminato. L’affaire Moro docet. Il popolo? Un’orda di fedeli inebetiti, proni e succubi, ai quali dev’essere paralizzata la coscienza.

Zagrebelsky non lo nomina mai, tra le righe, però, emerge la cinica realpolitik del Grande Inquisitore dostoevskiano, per il quale, sulla Terra, ci sono solo tre forze “capaci di vincere e conquistare per sempre la coscienza di questi deboli ribelli [gli uomini, ndr.]: […] il miracolo, il mistero e l’autorità”. Nessuno ha dato una definizione più lucida di Potere.

È del tutto evidente che, in questo quadro, qualunque Costituzione è vista come un sacrilego tentativo di limitare la deità stessa di Dio. Tentativo che va stroncato sul nascere. Nel malaugurato caso in cui – com’è, miracolosamente, accaduto nel nostro Paese, settantasei anni fa – una Costituente riesca a partorire una Costituzione, scatta, immediatamente, il piano B: la scostituzionalizzazione della costituzione, attraverso una serie di proposte tecnicamente eversive (la definizione è di Zagrebelsky, al quale appartengono tutti i virgolettati corsivi), come quella presentata, a inizio anni Ottanta, da Gianfranco Miglio.

Se questo processo di scostituzionalizzazione – prodromo della sdemocratizzazione – si presenta più difficile del previsto, il Potere (che sa esercitare una “forza di attrazione spesso irresistibile”) non si fa alcuno scrupolo di arruolare – oltre a ogni genere di fazione armata – due categorie di servi-facilitatori:

  1. intellettuali “parassiti”, “utili ad altri gruppi sociali, alle spalle dei quali vivono, fornendo loro servigi ideologici”, dando, cioè, “forma ideale ai loro interessi materiali” (non a caso, “il nostro mondo è sempre più ricco di consulenti e sempre meno di intellettuali”);
  2. costituzionisti”, come Zagrebelsky definisce “coloro che operano sul terreno costituzionale, indipendentemente dal costituzionalismo e quindi, eventualmente anche contro il costituzionalismo”.

Due categorie che rinnegano autonomia e responsabilità, per fornire quei “servizi” di “natura servile” che “esistono nelle autocrazie”. È anche grazie alla più totale amoralità di costoro che la Costituzione “si trasforma da oggetto di convergenza a materia di appropriazione interessata e disputata”. “Non si può […] escludere, per non dire di più – scrive Zagrebelsky – che le classi dirigenti rappresentative, e i costituzionalisti che vi si sino invischiati, per la loro inconsistenza etica […] tendano quasi naturalmente, per ragioni psicologiche di interesse e di imitazione, a identificarsi con le parti prominenti dell’ordine costituito, mimetizzandosi in queste e adottando i comportamenti servili che sono loro richiesti”.

Quando interpella la nostra coscienza – o a quel poco che ne rimane – Zagrebelsky usa le parole di Primo Levi: «se ti è concessa una scelta, non lasciarti sedurre dall’interesse materiale o intellettuale, ma scegli entro il campo che può rendere meno doloroso e meno pericoloso l’itinerario dei tuoi coetanei e dei tuoi posteri. Non nasconderti dietro l’ipocrisia della scienza neutrale: sei abbastanza dotto da saper valutare se dall’uovo che stai covando sguscerà una colomba o un cobra o una chimera o magari nulla».

La libertà e la costituzione – conclude Zagrebelsky – non sanno che farsene degli imbelli, dei paurosi, di coloro che pensano soltanto alla loro tiepida sicurezza. E gli imbelli e i paurosi, a loro volta, non sanno che farsene né della libertà né della costituzione”.

E noi? Sappiamo cosa farcene della libertà o – per dirla con Dostoevskij – anche per noi nulla è “più intollerabile della libertà!” e non abbiamo “pensiero più angoscioso che quello di trovare al più presto a chi rimettere il dono della libertà” con cui, infelici creature, siamo venuti al mondo?
 

Tag:  Costituzione italianademocrazia

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