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La strategia d'uscita: tornare a circolare
La strategia d'uscita: tornare a circolare
di Andrea Begnini
18/05/2020
Una rinascita Green? "Io sono assolutamente fiducioso perché il quadro internazionale ci dà segnali chiari: l'Agenda 2030, con i suoi 17 goal e oltre 230 target, è stata adottata da tutti i governi. Le politiche climatiche mondiali nonostante Trump vedono un impegno importante guidato dall'Europa che crede nella circolarità. Anche nei lavori in vista del summit G20 previsto a Riad in autunno, dove al momento io partecipo confrontandomi con gruppi tematici di varie città, il tema è sempre questo: superare la crisi Covid basandosi su una economia della sostenibilità".
Parole e musica di Edoardo Croci, coordinatore dell'Osservatorio Green Economy dell'Università Bocconi di Milano, che ha partecipato agli incontri di Meet the Future organizzati da Repubblica.
Ma economia e sostenibilità su quali intersezioni convergono? Principalmente sulla capacità di riformulare il sistema economico in accordo con la forza rigenerativa dell'ecosistema, ovvero concedere al nostro pianeta il tempo e la possibilità di ripristinare le energie utilizzate. Continua il professor Croci: “Ci sono due indicatori fondamentali che dovrebbero segnare le politiche e indirizzare gli investimenti: il carbon intensity sul Pil, l'intensità carboniosa, e il material intensity, intensità dei materiali sul Pil. Questi due indicatori ci dicono sostanzialmente per produrre un euro di Pil quante emissioni di CO2 dobbiamo fare o quale quantità di materiali fisici, dai metalli alle biomasse, è necessaria. In questi indicatori l'Italia non va male: storicamente povera di materie prime, l'Italia è sempre stata virtuosa per efficienza energetica e uso materiali. Ma negli ultimi anni abbiamo perso un po' di questo vantaggio, ci siamo seduti. Dobbiamo dare sì risorse per le imprese, ma ripartendo da questi due indicatori, seguendo questa direzione”.
Si parla, in sostanza, di bioeconomia. Un settore che in Europa ha fatturato 2.300 miliardi di euro con 18 milioni di occupati. In Italia, secondo i dati delle Strategia Italiana sulla Bioeconomia, il settore comprende tutti i principali ambiti della produzione primaria come agricoltura, silvicoltura, pesca e acquacoltura, quelli della trasformazione delle risorse biologiche, quali l’industria della carta, della lavorazione del legno, le bioraffinerie, le industrie biotecnologiche e alcune industrie associate al mare. Attualmente la bioeconomia italiana raggiunge nel suo insieme circa 250 miliardi di euro/anno di fatturato e 1,7 milioni di posti di lavoro e si pone come obiettivo al 2030 di conseguire un incremento del 20% delle attività economiche e dei posti di lavoro afferenti. Si tratta quindi di un asset decisivo per lo sviluppo dell'economia circolare che, però, nel nostro paese risente di due debolezze: i brevetti e il quadro normativo. L'Italia ha un buon indice di efficienza: per ogni chilo di risorsa consumata si generano 3,5 euro di Pil, contro una media europea di 2,24. Ma gli investimenti nel settore dell'innovazione latitano e, di conseguenza, siamo all'ultimo posto per numero di brevetti. Sul fronte normativo, invece, si segnala la mancanza di una strategia nazionale e di un piano di azione per l'economia circolare, strumenti che risulterebbero di grandissima utilità anche per riavviare, una volta passata la crisi connessa all'epidemia di Coronavirus, il motore di un paese che, come il nostro, ha bisogno di grandi iniezioni di energia. Conclude il professor Croci: “Dobbiamo seguire l'Europa che va avanti anche in questo periodo con il Green Deal e con la proposta di legge sul clima per ridurre le emissioni al 2030 del 50-55%. Per fare questo serve una strategia che implementi l'economia circolare. Purtroppo però, nonostante segnali europei chiari, l'Italia sta dando segnali ambigui e nei pacchetti che si stanno predisponendo molti vanno nella logica di contributo a pioggia indipendentemente dalle prestazioni in termini di sostenibilità. Questo è un rischio che non dobbiamo correre”.
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