La tessile sostenibile è sempre più di moda

di Giovanni Franchini

25/01/2020

La tessile sostenibile è sempre più di moda
Riciclare e riutilizzare è sempre più di moda. Anche nel tessile. Ed è una fortuna, perché il settore è da sempre uno dei principali imputati sul tavolo dell'inquinamento globale, continuamente ai primi posti per sfruttamento di materie prime: acqua, consumo di suolo, emissioni nell'atmosfera. I numeri sono impietosi. Per dare una idea, per ogni cittadino europeo, si consumano 1,3 tonnellate di materie prime, 104 metri cubi di acqua e si immettono nell'atmosfera 654 chili di CO2.

Numeri ormai insostenibili, causati da produzioni legate al fast fashion, collezioni  di abiti prodotti e venduti a prezzi bassi destinate ad essere rimpiazzate da altre collezioni nello spazio di sei mesi. Un consumo gonfiato tutto a spese dell'ambiente e della salute delle nuove generazioni, come testimoniato dal recente rapporto dell'Agenzia Europea dell'inquinamento che profetizza scenari catastrofici: nel 2050 l'industria della moda, che attualmente ricicla e converte appena l'uno per cento della sua produzione, arriverà a consumare un quarto di tutti i combustibili fossili del pianeta. E questo nonostante esempi virtuosi che pure sono sempre esistiti. Ad esempio, c'è chi già da fine Ottocento pensava a come riciclare abiti usati per riconvertirli in materia prima e reintrodurli nel ciclo produttivo.

Prato è la capitale del distretto tessile italiano. Qui il riciclo e la riconversione sono parole d'ordine già da tempo. Attualmente il 15% di quell'uno per cento di riciclo tessile a livello mondiale si produce proprio a Prato che nel 2018 ha riutilizzato oltre 143 mila tonnellate di tessuti.

Pioniere del tessile sostenibile è la Comistra, azienda pratese dei fratelli Tesi che produce tessuti ricavati dal riciclo nella misura del 90%, grazie ad un impianto a ciclo completo finora unico al mondo che rigenera e trasforma i sottoprodotti e i materiali post consumo che invece di finire in discarica diventano un nuovo tessuto, denominato "lana meccanica" e nella sua versione più pregiata "Lana di Prato", qualità di alto livello e certificazione di Global Recycled standard. Ma la rivoluzione del tessile di Comistra non si ferma al riciclo e, conformemente ai principi dell'economia circolare che prevede prodotti progettati fin dall'inizio per essere reimmessi nel ciclo produttivo, ha creato una linea di capi d'abbigliamento in base ai principi dell'ecodesign con cuciture di cotone, colori non tossici e privi di termoadesivi o inserzioni di materiale sintetico che impediscono le possibilità riportare a materia prima il tessuto a fine vita.

A Prato l'esempio di Comistra sta facendo scuola. Sono molte le aziende che hanno convintamente sposato i principi dell'economia circolare.

Industria Tessuti Pratesi ha creato il logo della chiocciola per indicare i prodotti con la percentuale minima del 60% di tessuti riciclati con ricadute positive che vanno dal risparmio di migliaia di tonnellate di rifiuti, riducendo le emissioni tossiche degli inceneritori e lo sfruttamento intensivo dei terreni adibiti al pascolo per gli ovini. Valfilo produce filato cardato da riciclato e Manifattura Maiano lavora gli scarti tessili per ottenere isolanti adatti all'edilizia sostenibile, per finire a Rifò, una recente startup che produce sciarpe e cappelli in lana rigenerata.

E sono proprio le startup spesso a tracciare nuove vie sostenibili grazie a creatività, inventiva e soprattutto ricerca. Orange Fiber, startup di Catania utilizza gli scarti delle arance siciliane per creare "il pastazzo", nuovo materiale per il tessuto, mentre la Waistemade di Cigognola Pavia ricicla copertoni di biciclette usati per produrre cinture ecosostenibili e vegane, fino alla Ecodream di Borgo San Lorenzo, a Firenze, che ha sviluppato una linea di borse dagli scarti del tessile e dalle camere d'aria delle biciclette.

Ma se Prato è un distretto felice, anche i grandi marchi cerano nuove vie ecologiche. Adidas in collaborazione con l'organizzazione ambientalista Parley for the Oceans, ha lanciato una linea di scarpe sostenibili prodotte utilizzando la plastica delle bottiglie in pet e dalle reti da pesca abbandonate negli oceani, mentre Allbirds, produce scarpe realizzate in lana merino, fibre di eucalipto e canna da zucchero, che ha convinto la star Leonardo Di Caprio, da sempre sensibile ai temi ambientali, a passare da convinto testimonial all'investire direttamente nell'azienda.

E i grandi stilisti? Anche loro si stanno pian piano avviando sulla strada (circolare) del sostenibile. All'ultima fashion week milanese tutti i marchi hanno presentato la loro idea realizzata sulla sostenibilità, da collezioni prodotte in eco tessuti a tinte che rispettano l'ambiente. Sul podio, tra tutti, Stella McCartney, già vincitrice del Global Voices Award 2018 per il suo impegno nella sostenibilità fashion, che ha presentato la sua collezione "verde" costituita da poliestere riciclato, suole di scarpe biodegradabili e un tipo di cashmere, una delle materie prime di maggior valore per la moda, prodotto dal riciclo di vecchie stoffe grazie alla ricerca della piattaforma ecologica Re Verso.

Dai grandi stilisti agli abiti di tutti i giorni: i jeans. Da sempre uno dei prodotti della moda più inquinanti (dalla grande quantità di cotone necessario a produrla, che spinge all'utilizzo di pesticidi e prodotti chimici inquinanti, alla colorazione indaco – il classico blu – che richiede l'utilizzo di una potente miscela chimica, fino alla sbiancamento per la quale è necessaria una tecnica a base di permanganato di potassio che causa gravi problemi di salute ai lavoratori), anche i jeans stanno fortunatamente approdando a tecniche di produzione sostenibili. Da Everlane che utilizza cotone e acqua riciclata a People Tree, che utilizza cotone biologico e sabbiatura e lavaggio certificati Fair Wear Foundation, da EcoGeco di Genova (la patria dei jeans) che certifica tutto il programma ecologico di produzione con tinture a basso impatto ambientale, a Levi's che vara Re/Done, la sua prima linea di jeans "rigenerati" (come gli pneumatici), utilizzando esclusivamente capi arrivati a fine vita.

Ma c'è chi è riuscito a chiudere il cerchio, realizzando compiutamente il principio dell'economia circolare, postulato dal detto "dalla culla alla culla". L'olandese C&A, uno dei più grandi retailer europei ha lanciato la linea Cradle to Cradle, appunto "dalla culla alla culla", composta da jeans per i quali ogni singolo componente è prodotto in maniera sostenibile, certificato da Fashion for Good, piattaforma globale che si è posta l'obiettivo di rendere sostenibile la moda.
 

Tag:  Comistraeconomia circolaremoda sostenibilericicloriusotessile sostenibile

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