#LaCantinaDelFuturo / I Green Claims misurano la verità sostenibile del vino

di Michele Fino

19/06/2024


Come sarà la Cantina del Futuro? Innovativa, Sostenibile, Circolare, Resiliente, Certificata, Misurata. La Cantina del Futuro è un progetto dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo realizzato in partnership con Schneider Electric, Wolf System, SIAD e RINA, in collaborazione con La Banca del Vino e Italia Circolare. Un progetto che racconta una visione strategica e insieme un catalogo di proposte, innovazioni e nuove opportunità capaci di migliorare l’efficienza e la riduzione dell’impatto ambientale del processo produttivo in cantina. 

Il vino oggi deve rispondere alle domande dettate dalla transizione ecologica e assumersi nuove responsabilità. Deve insomma riscrivere la sua proposta di Sostenibilità definita dalle sue tre dimensioni ambientale, economica e sociale. Per farlo deve raggiungere con la sua filiera produttiva gli Obiettivi SDGs dell’Agenda di Parigi, adeguare la catena del valore dei suoi investimenti ai criteri ESG, efficientare la produzione secondo le regole del Green Deal europeo. E ancora, misurare e certificare i processi produttivi dettati dal paradigma dell’Economia Circolare, rispondere alle nuove normative sul packaging, essere un punto di riferimento per la sostenibilità nutrizionale, valorizzare le materie prime seconde generate dagli scarti e dai sottoprodotti di produzione, ridurre l’impatto ambientale e le emissioni di CO2, aumentare i consumi energetici usando sempre di più energie rinnovabili, gestire al meglio l’acqua, rispondere alle istanze della nuova responsabilità sociale d’impresa e attuare la gestione della comunicazione e del marketing adeguando le informazioni contenute nelle etichette (e non solo) alle direttive europee in materia di Green Claims.

Il White Paper dedicato al progetto ha ospitato tra gli altri un articolo di Michele Fino, uno dei massimi esperti di Food Innovation & Management e direttore della Terza Missione dell’Università di Pollenzo, dedicato proprio alla normativa sui Green Claims e la comunicazione sostenibile del vino.


di Michele Fino

La Cantina del futuro deve necessariamente misurarsi con il tema della rinnovata relazione con i consumatori attraverso la trasparenza della propria comunicazione che avviene in tanti modi ma principalmente attraverso i canali tradizionali di diffusione dell'informazione commerciale, il social network e infine l'etichetta.

Sebbene le forme siano tre, è molto importante ricordare che, ai fini del regolamento UE 1169 del 2011, tutte queste modalità di diffusione di informazioni relative all'azienda e al prodotto sono considerate come etichettatura e devono pertanto rispettare gli standard e avere i contenuti minimi previsti dalle norme comunitarie. Dunque, l'etichetta rimane il luogo deputato alla veicolazione di tutte le informazioni obbligatorie (a partire dall'8 dicembre queste saranno ben 10 mentre due ulteriori potranno essere comunicate ai consumatori attraverso un QR code), ma ciò che deve comparire in etichetta oppure non può comparire in etichetta influenza direttamente anche la comunicazione commerciale e persino quella aziendale attraverso i social network, perché ciò che non può essere detto in etichetta non può essere detto nemmeno con questi altri strumenti. Come dicevamo in apertura, la rinnovata relazione con il consumatore basata sulla trasparenza va via via strutturandosi come un imperativo per quelle aziende che nel futuro desiderano mettere a terra strategie di crescita o consolidamento delle proprie quote di mercato che non risentano in maniera determinante dei cambiamenti di mode e gusti estemporanei. Proprio per questa ragione, la questione dei Green Claims sta via via acquisendo anche per i produttori vitivinicoli una importanza rilevante dopo anni durante i quali la diffusa attenzione per concetti quali sostenibilità e circolarità hanno indotto molti ad una disinvoltura che ha costituito la base di fenomeni di greenwashing. 

La definizione di greenwashing non è unica e nemmeno se ne trovano di universalmente accettate, tuttavia non ci si allontana dal bersaglio se si pone in evidenza che il greenwashing è la pratica attraverso cui si fornisce una impressione al consumatore basata sulla percezione di una attenzione per l'ambiente e la sostenibilità la quale, alla prova dei fatti, si rivela assai meno consistente di quanto l'azienda abbia dato ad intendere. La questione del greenwashing per i produttori di vino è doppiamente rischiosa. I produttori di vino infatti non soltanto sono da biasimare quando fanno ricorso a tecniche di comunicazione e a contenuti che inverano ipotesi di greenwashing ma sono ulteriormente riprovevoli quando non esitano ad utilizzare una comunicazione poco accurata, generando una fattispecie di greenwashing per promuovere la vendita di una bevanda alcolica e pertanto degna della massima attenzione da parte delle autorità e dei consumatori. Lo affermo esplicitamente: pratiche di greenwashing e uso pertanto disinvolto di Green Claims da parte di produttori vitivinicoli è qualcosa di più grave rispetto ad analoga azione compiuta da altri produttori del comparto alimentare, il cui output in termini di prodotto non presenti la criticità costituita dalla presenza di etanolo. 

Del marzo del 2023 La commissione Europea ha formulato la propria articolata proposta di una direttiva Green Claims. Come tutti sappiamo perfettamente, una direttiva è una espressione del potere normativo primario dell'Unione Europea che viene utilizzata quando l'Unione non intende dettare regole che immediatamente operano nei confronti di tutti i cittadini ma preferisce fissare obiettivi cogenti per tutti gli Stati Membri, lasciando che questi ultimi adottino le proprie misure normative interne, secondo l'ordinamento costituzionale di ciascuno, allo scopo di raggiungere gli obiettivi di cui sopra. 

La direttiva Green Claims proposta dalla commissione sottolinea come di 232 Marchi censiti in Europa aventi un contenuto lato sensu ecologico e utilizzati per la comunicazione commerciale di una vasta gamma di prodotti, meno della metà risulti assegnato vi è utilizzato a seguito di un processo di certificazione. Nella pratica, il 50% dei loghi che appaiono su prodotti venduti ai consumatori europei, che richiamano un riferimento ad ambiente/sostenibilità/circolarità, è una dichiarazione che poggia su nulla di diverso dall’affermazione di chi lo appone sulle proprie confezioni. Questo non può continuare.

La proposta della Commissione si caratterizza per prevedere il divieto di usare loghi e marchi che rinviino a pratiche ambientali virtuose in assenza di una certificazione da parte di un soggetto terzo: nella visione della Commissione, l’ambiente deve uscire dal campo dei trademark e diventare appannaggio esclusivamente dei certification mark. Ne esistono già molti e diversi, di natura tanto privata quanto semi pubblica, ma il futuro vedrà un loro verosimile, ulteriore aumento perché la Commissione, coerentemente con l’architettura europea basata sul libero mercato, non pone certamente limiti a un simile sviluppo, ma si propone di regolarlo positivamente.

Tutto questo rappresenta una opportunità preziosa per il mondo del vino, alla luce dei tempi complicati che attendono il settore. Provo ad illustrarlo con tre declinazioni.
La contrazione dei consumi e la concentrazione degli stessi in segmenti della popolazione via via meno giovani è una circostanza che si verifica globalmente. Negli USA, la crescita di birra e spirits fa da contraltare a una corrispondente riduzione die consumi di vino. Per parlare di nuovo (e meglio) alle generazioni più giovani e più ecologicamente ansiose, una autentica affidabilità dei riferimenti alle pratiche ambientali ed ecologiche diventa una carta importante da giocare.
Il quadro normativo dell’etichettatura introdotto in Europa con il Reg. 2117/2021 porterà a breve sulle bottiglie l’elenco ingredienti una etichetta nutrizionale, che dovranno essere attestati da analisi: in un quadro di simile, strutturata affidabilità e completezza dell’etichettatura, dei Green Claims coerenti con la realtà e certificati, diventano una strada obbligata.
Infine, il contenuto in alcol del vino impone una virtuosità nella produzione che non è più un optional e potrà, in futuro, essere l’unica strada percorribile per contrastare crociate salutiste che viceversa, continuando ad esserci poca attenzione da parte del settore, si gioveranno molto dell’inconsistenza della rivendicazione di pratiche ambientali non sufficientemente dimostrate.
 

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