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L'architettura è l'inizio di ogni sostenibilità
L'architettura è l'inizio di ogni sostenibilità
di Daniela Cavallo
20/06/2024
Svegliata di cattivo umore, di certo con tanti pensieri aggrovigliati e un po’ di scoramento, e quella maledetta voglia di fare, fare, fare, che poi diventa progettare, organizzare, rappresentare, diventa rogne e problemi di un mestiere sempre più ostacolato.
Arrivo in ritardo, in una Sala Maffeiana gremita, senza più un posto, dove le sedie sono ormai a filo muro, alcuni relatori parlano già, entro in punta di piedi, Filippo Bricolo dal palco mi vede, mi saluta e mi fa cenno di sedere in prima fila, al suo posto, da gentiluomo quale è. Saluto frettolosamente in giro, mi siedo.
Scopro che il Professor Francesco Dal Co è in ritardo, “Che fortuna” penso, e mi metto in ascolto di Emilio Faroldi Prorettore Vicario del Politecnico di Milano: siamo dentro al Festival MantovArchitettura, a Verona.
Un Festival che, grazie all’architetto Bricolo e ad altri con lui, proprio a Verona è stato portato ed è cresciuto in pochi anni, con l’idea di costruire “relazione”, di andare oltre i confini amministrativi e geografici, da Mantova a Verona: la prima bravissima ad organizzare Festival (vedi Festival Letteratura, una capacità come “genius loci”) ovvero occasioni di cultura per conoscere e far conoscere in uno spazio allargato, coinvolgendo, giocando sulle relazioni come fili di un tessuto, quello della città, del territorio in questo caso.
Le parole di Faroldi mi catturano subito perché le ho dentro, quel bisogno di scendere in mezzo alla gente degli Architetti, di smettere di essere autoreferenziali (e noiosi aggiungerei), di entrare nei mass media (perché l’architettura è mass media per eccellenza), programmi tv e quant’altro, per narrare l’architettura, per condurre a sé, educare, come altre discipline già fanno, in una contaminazione che è realtà, responsabilità. Essere territorio.
Su questa strada qualche anno fa con l’Ordine degli Architetti di Verona abbiamo iniziato un ciclo di conversazioni diffuse e contaminate su temi diversi, “Il mestiere dell’Architetto”: bellissima è stata quella tra Filippo Bricolo e Gianluca Peluffo “Costruire cittadini, coltivare dubbi”. La strada è ancora lunga, ma abbiamo iniziato a camminare.
Sorprendentemente rincuorata e assetata, riprendo il filo: mi colpisce il racconto di Bricolo, quello di una lezione a Castelvecchio con Guido Canali che d’improvviso si apparta, commosso, vicino a quella Santa Cecilia, protettrice dei musicisti, che Carlo Scarpa ha posizionato di spalle nella seconda sala del Museo di Castelvecchio, e sembra quasi in processione seguire una musica soave, come in quel Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria di Antonio Canova; forse c’è un drappo per terra che tira la figura dalla luce all’ombra, forse che sia Giulietta o Verona stessa, chissà. Certo quell’allestimento commuove. Dialoga.
Arriva il Professor Dal Co, e ci sentiamo tutti a lezione, Sala Maffeiana si trasforma in una delle aule di Palazzo Badoer a Venezia, Istituto Universitario di Architettura (che tempi meravigliosi!) eravamo sempre tanti anche lì a seguire: la differenza tra giovani e meno giovani si azzera, siamo tutti studenti. Anche le mosche sedute e mute.
È ancora musica.
Il Professore Francesco Dal Co ha un incedere lento, parole scelte con cura, toni bassi, ma sicuri, occhi d’acqua piccoli, azzurri, colmi di caratteri a stampa e di segni che si specchiano nelle immagini che scorrono al ritmo dei concetti.
Come il rosso delle murrine opache nelle origini di Scarpa che si trasformano da vasi a pavimenti, l’acqua onnipresente nelle architetture e nei giardini, le pietre, da grezze a lucide, i contrasti, la luce come materia con un suo peso specifico diverso da nord a sud, con le metonimie, la cura perfetta del particolare, quella “giusta misura” di antica memoria. Mi vengono in mente le parole di Salvatore Settis in “Futuro del classico”, all’unisono con quelle di Dal Co, quel rinascimento continuo che non è fare le cose sempre uguali, ma un compito che abbiamo di evolvere quel linguaggio interiorizzandolo, spesso lavorando sulla percezione e sull’invisibile, sulla scoperta, sulla meraviglia. Creare.
C’è anche Calvino che s’infila nella mia testa: quando a metà circa de “Le città invisibili” il Kan chiede a Marco Polo “Perché parli sempre di tante città senza mai nominare la tua”, Polo sorride “E di che altro credevi che ti parlassi? Ogni volta che descrivo una città, dico qualcosa di Venezia”. Carlo Scarpa come Marco Polo.
Capisco perché mi occupo di territori come architetture, ciò che abbiamo dentro, ciò che siamo e rendiamo visibile, è il senso del fare, quel “poien” greco, fare con arte.
Alla fine scopriamo un Carlo Scarpa “umano”: a volte esagerato, scomposto, ridondante Dal Cò, così, ce lo ha fatto amare di più.
Non racconterò i contenuti di questa lezione su Carlo Scarpa di Francesco Dal Co, perché sono attimi (due ore, e avremmo voluto non finisse mai) di felicità che vanno vissuti.
Se avete perso quest’anno gli eventi del Festival Mantova Architettura non perdetevi il prossimo: bellissima, in chiusura del Festival, la “Parata architettonica per la città di Mantova”, quell’idea di architettura per la strada che tutti possono toccare, sentire, capire, vivere, come “Parade” del 1917, un balletto al Theatre du Chatelet a Parigi, con la musica di Erik Satie, soggetto di Jean Cocteau, coreografie di Leonide Massine, la compagnia dei balletti russi di Djagilev, il sipario e la direzione artistica di Pablo Picasso.
L’architettura è tutto questo, è sogno che si materializza, diventa felicità. Tutti in piedi, applausi.
Esco, sorrido, il cuore più leggero: i dubbi non sono risolti, ma adesso hanno ripreso senso, ed io coraggio.
L’architettura è l’inizio di ogni sostenibilità.
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Autori
Daniela Cavallo
Territory Coach. Direttore Latina finalista Capitale italiana della Cultura 2026.
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