Latina, isola sostenibile di terraferma

di Daniela Cavallo

19/03/2024


Alla fine non ha vinto, ma il suo dossier racconta bene l’identità profonda e a tratti invisibile dell’essere una città italiana, la destinazione del ritorno e del futuro, della partenza e dell’arrivo, un luogo da ascoltare, guardare, scoprire e svelare. Senza fretta. Ce la racconta Daniela Cavallo, Territory Coach e Direttore di Latina finalista Capitale italiana della Cultura 2026.

Da cosa siamo partiti per questa candidatura: dal bando.

Capitale della Cultura non deve essere la città più bella, la città più turistica, la città più antica e via, ma quella che attraverso la cultura voglia intraprendere azioni per migliorare, sviluppare un pensiero collettivo di città, che dunque consideri la cultura un processo e non un prodotto, da mettere in atto in qualsiasi tempo.

Pionieri (e come i pionieri spesso non subito capiti) abbiamo proposto un modo nuovo di essere capitale della cultura italiana, per quello che siamo, semplicemente, con pregi e difetti; un modo diverso che ci porti a meditare su noi stessi attraverso la scoperta: “Viaggiare dovrebbe sempre significare esperire, sentire profondamente”, scrive Hermann Hesse, legando esperienza del mondo ed esperienza del sé.

Latina da sempre è stata nell’ombra, è stata scavalcata come fosse invisibile, un po’ per una serie di pregiudizi che non hanno assolutamente precluso alla città ed al suo territorio lo sviluppo, anzi uno sviluppo d’eccellenza e in alcuni casi prima di altre città, e un po’ perché il carattere degli abitanti ha lasciato che questo accadesse per un’indole poco propensa al dire e più attenta al fare. Il pregiudizio a Latina è “nel nome che si porta addosso”, come nella canzone di Lucio Dalla 4 marzo 1943 (04/03/ 2024 l’audizione al Ministero).

La cultura non è pregiudizio, non può esserlo. Ci siamo subito accorti che Latina è stata per gli artisti, architetti, pittori, scultori, decoratori, musicisti, e per il cinema, sempre visibile, anzi luogo d’eccellenza: è nascosta a tutti quelli che non hanno occhi per guardare, non sono spinti dalla curiosità, dalla voglia di conoscenza, ai quali non interessa tessere una tela di legami e relazioni, connessioni. Per la cultura si scopre che Latina è stata culla, la cultura ovviamente del '900.

Abbiamo così ripercorso i 90 anni di questa giovanissima città, la più giovane d’Europa, e pensando al suo carattere ci è venuto in mente che l’origine della lingua italiana si fa risalire a un indovinello, il primo testo conosciuto scritto in un volgare italiano, da un ignoto copista tra l’VIII secolo e l’inizio del IX. L’indovinello veronese costituisce una metafora della scrittura, della cultura dunque: buoi come le dita; lo scorrere della mano come aratura, i bianchi prati i fogli, il bianco aratro la penna d’oca, il nero seme è l’inchiostro.

Una unione di Latino, lingua volgare e dialetto veneto, così come si parla a Latina, magari anche con innesti di altri dialetti italiani. Un’assonanza tra Agricoltura e Cultura, che attengono alla Cura, parola quest’ultima che ha la stessa radice di Cuore: avere cura prima dell’agire prevede l’osservazione, il conoscere. Una cura che Latina ha avuto per il proprio territorio a partire dalla bonifica: “bonum facere”, fare bene e fare del bene, un agire collettivo che produca cultura e cura della terra in primis.

La cura è anche l’obiettivo di ogni Museo, nel ricostruire narrazioni, così abbiamo applicato alla città-territorio, la metodologia di un museo diffuso: Latina un patrimonio universale da percepire in un rapporto lento e nuovo tra spazio e tempo, lasciando libero il visitatore di scegliere, di cogliere gli aspetti che gli sono più congeniali. La natura del luogo dunque, monumento antico del territorio, una natura che ha radici nella terra e nell’acqua, aeree.

Così sono le radici degli abitanti, in aria.

Latina è il luogo della Cultura del ritorno, della cultura delle radici: radici alla rovescia, ovvero fare scoprire Latina a tutti gli emiliani, veneti molisani, abruzzesi, campani ecc che possono ritrovare parte di sé in questo territorio.

A Latina l’identità è in movimento. Crea, evolve, lega, cuce, scava, posa e riposa, fugge e ritorna.

Latina è spaesante. Arrivi, ti guardi intorno e dici non c’è niente. Poi apri una porta, magari con la chiave giusta, e scopri una meraviglia.

Latina è da scoprire, da svelare, per Latina bisogna avere gli occhi dell’arte, che ti permette di togliere il velo alle cose. Per vedere Latina bisogna avere l’intenzione, l’animo di chi vuole sapere.

Non è una città già pronta e servita: devi chiedere, ascoltare, guardare è una città sempre e ancora in costruzione e ti dà l’opportunità di essere parte di questa costruzione, di una città sempre nuova.

Latina è un enigma da svelare dove la modernità si innesta sulla tradizione. Si svela una Latina elegante, sobria ma piena di passione, una città che rompe gli schemi e li ripropone innovandoli. Latina chiede partecipazione e voglia di sapere altrimenti resta invisibile.

A Latina ti devi fermare, devi avere tempo, devi cucire luoghi e suggestioni, dove, come dice Carlo Levi, le contraddizioni diventano identità. Latina è un’isola di terraferma.

A Latina c’è una narrazione intimista, sentimentale, garbata, mai banale quanto inaspettata. A Latina non c’è misura.

A Latina non devi avere fretta.

E in questo territorio con tante anime, tanti dialetti, il futuro non è uno, ma tanti possibili, un futuro che ci ha fatto pensare a che cosa vorrà essere Latina attraverso la Cultura e non solo. Latina è un soggetto vivente ad altissima complessità, questa complessità si vuole gestire applicando il modello di smart land che bene calza con questo territorio, riuscendo a gestire le diverse relazioni che su esso insistono e lo caratterizzano sempre nell’ottica di essere pionieri, mai in coda ad altri.

A Latina si è sempre fatto tutto per la prima volta e fatto in maniera eccellente. Latina, nell’accoglienza dei profughi ad esempio, come Ventricolo destro d’Italia, quello dove il sangue fluisce e si mescola con quello della vena cava per imboccare poi l’arteria polmonare.

A Latina il territorio ha un respiro diverso. Spesso ci chiediamo cosa ha questa o quella città, fermandoci alla parte visibile e facilmente consumabile, mentre meno ci chiediamo cosa è questa città. A Latina bisogna farsi una domanda e cercare una risposta, attivi e non passivi, un turismo da viaggiatori, meno da escursionisti.

Da tutto questo si sono individuati tre asset culturali che sono diventati tre tavoli di lavoro: Sociale, Impresa e Agricoltura, Architettura e Arte del 900. I tre tavoli di lavoro, sono diventati “Modelli Latina” ovvero tre sezioni del programma culturale di candidatura, in coerenza con gli obiettivi strategici, scoprendo che alcuni goals dell’Agenda 2030 a Latina sono già da tempo attuati.

Nello specifico, il programma del dossier ha ripreso la metafora dell’agricoltura, mettendo al centro la città territorio e quella culturale dell’indovinello: sei sezioni, da “arare” a “raccogliere”, con rispettivi progetti che incrociano i tre asset, e un gruppo di progetti come Legacy, per un totale di 48 progetti nell’anno di Capitale e una decina di progetti che già fanno parte delle attività culturali avviate dall’Amministrazione.

La sfida di Latina è la sfida dell’Italia intera che, dopo decenni di abbandono della ruralità e delle aree interne, intenda proiettarsi nel futuro ripartendo dalla terra, dall’agricoltura di qualità, dall’innovazione e dal cibo, straordinario ambasciatore di sostenibilità economica, sociale e ambientale. Latina al centro del suo Agro potrebbe diventare il paradigma di un nuovo patto città/campagna che non soltanto restituisca dignità alla storia, alla memoria e al ruolo sociale dei contadini e degli agricoltori, ma suggerisca modalità innovative per generare sviluppo sostenibile in tante altre province dell’Italia.

È questa la trama del Dossier di candidatura a Capitale italiana della Cultura, la visione: un programma che radichi il patrimonio nella comunità di riferimento, gli eventi come momenti di aggregazione sociale, l’urbanistica come cultura, la cultura come urbanistica al centro di una politica di rigenerazione e ristrutturazione per sperimentare nuovi ambiti della pianificazione territoriale, dove musei e monumenti non bastano se non sono parte del sistema culturale dove gli abitanti sono il filo conduttore, trama e ordito del tessuto urbano, eventi mirati e strategici, non a spot né autoreferenziali, ma che producano bellezza e ricchezza sul territorio.

Latina e l’Agro pontino non sono più così terra di conquista, né luogo da scavalcare, ma da scoprire, da vivere. Latina è vera, coerente, magica, in costruzione per ognuno che voglia conoscerla, Latina è un impegno di mente e cuore, non si nasconde ma è da scoprire, è la città, insieme alle altre di fondazione, che molti intellettuali hanno deriso, come diceva Pasolini, ma invece è il modello da seguire, è necessario ricredersi.

Latina è una città al plurale, per tutte le anime che ha dentro, per la sua diversità, che convive in un unico territorio. Latina ha la fisionomia della storia dell’Italia del Novecento. Latina è un’opportunità unica, quella di godere di una città così come è stata costruita originariamente: è originale e originaria, ci rende testimoni e ambasciatori del Novecento, dove il passato di Latina è in tutte le città italiane, ma la sua storia è recente. A Latina si può ancora incontrare e parlare con qualcuno che la città l’ha costruita direttamente, come incontrare Leonardo nel Rinascimento, dove il patrimonio, il bene più antico, è la Terra. Raccogliere una manciata di Terra è avere l’Italia in mano.

Una città intimista, semplice solitaria e riflessiva come monumentale enfatica ed esagerata, come un luogo dove convivono Pasolini e Moravia. È la città della lingua latina e dei dialetti di tutta Italia, dove “La cultura – prendendo le parole di Elio Vittorini – è la forza umana che scopre nel mondo le esigenze di un mutamento e ne dà coscienza al mondo”.

Latina è la città di tutti quegli italiani che hanno l’identità in movimento: chi è partito dal Sud per andare al nord, chi dal Nord per il centro, chi è nato in un luogo e si è trasferito in un altro, l’identità che cerchiamo affannosamente di rendere stabile in realtà si muove in continuazione: per gli antichi dove si pianta la vigna lì è casa, si mette radici; a Latina, come scrive Corrado Alvaro, è una questione di ettari e poderi.

Latina, città-territorio, è la città invisibile di Italo Calvino, dove ci sono dentro tutte le altre città. Dove il ronzio della zanzara malarica è diventato negli anni settanta la musica di tutti i più grandi jazzisti del mondo che a Latina hanno suonato, hanno abitato e si sono ritrovati facendo crescere culturalmente la città e distinguendola da tutte le altre italiane. Così per tutto. Latina è tutto ciò che non ti aspetti. Qui, diceva il veneto Guido Piovene nel Viaggio in Italia, c’è il vero Lazio. Latina è un grande romanzo corale che unisce leggerezza e profondità, commozione e divertimento, empatia e gusto per le arti e la cultura. La cultura è un processo, un fare, un fare bene per la collettività. Pericle, Adelchi di quell’Eneide pontina raccontata da Antonio Pennacchi, si uniscono a Ulisse ed Enea in una Storia del Novecento ancora tutta da leggere.

Il progetto Capitale Italiana della Cultura, con il quale Latina è entrata nelle dieci finaliste, ha dato l’occasione. Il viaggio è ancora tutto da fare.
 

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