L'Economia Circolare entra nel dossier Colao. Bene. Ma non benissimo.

di Paolo Marcesini

09/06/2020

Eccolo finalmente il documento-manifesto ideato dalla task force di esperti guidata dall'ex manager Vodafone Vittorio Colao e consegnato al Presidente del Consiglio Conte per disegnare "un'Italia più forte, resiliente ed equa", con l'indicazione di una serie di "iniziative per il rilancio 2020-2022". Un dossier imponente con 121 schede di proposte dove, meglio dirlo subito, per fortuna c'è molta green economy.
E non potrebbe essere altrimenti. Dall'introduzione di una carbon tax alla tanto auspicata (ma non spiegata) semplificazione nell'iter per la realizzazioni di impianti utili allo sviluppo sostenibile del Paese.

Dal punto di vista legislativo infatti siamo ancora indietro, lenti, farraginosi, inutilmente complessi e burocratici e questo viene sottolineato con forza in molti passaggi. La durata dell'iter autorizzativo di una infrastruttura energetica in Italia è superiore alla fase realizzativa dell'impianto stesso (fino a 7 anni) e questo rappresenta un freno decisivo all'innovazione energetica del Paese.

All'interno del documento Colao indica e definisce l'Economia Circolare uno dei drive di sviluppo economico per far uscire il paese dalla crisi e "chiudere il cerchio" della sostenibilità. Ecco il passaggio: "Per migliorare la sostenibilità del Paese è altresì necessario accelerare le iniziative per il passaggio all'economia circolare, la gestione virtuosa dei rifiuti e il riutilizzo delle acque reflue, sia da un punto di vista infrastrutturale sia di incentivi per le singole aziende".

Bene, ma non benissimo.

È positivo che il ruolo dell'Economia Circolare diventi scheda di progetto per il rilancio della nostra economia ma appare riduttivo definirne il ruolo esclusivamente al servizio dell'impresa e solo per la gestione dei rifiuti. Si chiede, giustamente, di adeguare norme, incentivi e fondi relativi al trattamento di rifiuti e scarti per favorire l'attivazione di progetti di economia circolare a livello aziendale, anche su piccola scala, attraverso un piano strategico specifico sul modello della transizione energetica e di recuperare il più possibile plastica non solo dagli imballaggi.
Per Colao e il comitato di esperti chiamati a redigere il documento, l'Economia Circolare è sostanzialmente la gestione e conversione dei rifiuti sotto tutte le forme e per realizzarla occorre semplificare e revisionare le normative esistenti al fine di rendere efficace la gestione dell'End of Waste. Ma questo non è sufficiente.

Colao scrive quello che i cluster dell'Economia Circolare chiedono da anni. E spero che solo l'urgenza di definire un documento così ambizioso abbia banalizzato un concetto che espresso così non solo è inadeguato a comprendere il significato stesso di Economia Circolare all'interno della ridefinizione del rapporto tra materia e consumo ma arretra culturalmente su tutti i suoi significati "olistici" che vengono invece ribaditi con forza dal Green Deal Europeo. Colao sa benissimo che appartengono alla circolarità anche l'efficientamento energetico, la gestione dell'acqua, la riduzione del consumo di suolo, la mobilità sostenibile dentro e fuori le città. Ne parla nella definizione di economia "verde" ma oggi sappiamo che la circolarità intesa come filiera produttiva è l'unica scelta possibile per un futuro all'insegna dell'equilibrio tra risorse del pianeta e la necessità di consumarle. Una scelta che invade il campo dell'innovazione, della formazione, della ricerca di nuove forme di utilizzo degli scarti naturali, del nuovo design dei prodotti, della rigenerazione urbana, dell'agricoltura, della lotta allo spreco alimentare e del diritto al riuso delle tecnologia.
 
Solo un problema semantico? Questioni di lana caprina tra strategie e definizioni culturalmente diverse all'interno dello stesso campo da gioco? Risponde lo stesso documento che a proposito degli investimenti in ambiente ed Economia Circolare scrive che: "Possono offrire ritorni interessanti per capitali privati e possono quindi essere realizzati senza aggravare eccessivamente il debito pubblico, nonché un insieme di iniziative volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture strategiche, con importanti ricadute positive sulla fiducia del Paese in sé stesso e sulla sua reputazione internazionale".
Altro che lana caprina!
Quello che mi aspetto da un documento come questo non è la definizione corretta anche se parziale di cos'è l'Economia Circolare e una generica raccomandazione ad andare in quella direzione. Mi aspetto che si proponga l'istituzione di una piattaforma di servizi che aiutino davvero le imprese nella comprensione della convenienza dell'aggiornamento delle filiere, nell'interpretazione degli iter legislativi che ne accompagnano e troppo spesso ostacolano la riconversione, nell'investimento in  ricerca e sviluppo  per gli infiniti utilizzi possibili delle materie prime seconde che la bioeconomia offre al mercato del benessere, della moda, della tecnologia, dei nuovi materiali e nell'aggiornamento delle competenze di cui il mercato del lavoro ha bisogno per affrontare le nuove sfide della produzione di beni e servizi. 

Potrei continuare perché l'elenco è davvero lungo.

Tutti i giorni parliamo con le imprese che sono consapevoli  del ruolo centrale che esercitano per la coesione tra comunità e territori in nome della sostenibilità e del risparmio di materia. Sappiamo che i ritardi burocratici e l'incertezza degli esiti autorizzativi sono spesso l'unico freno agli investimenti  Denunciarli non serve più. Serve invece una proposta concreta su come superarli.

E poi soprattutto mi aspetto un passo in avanti deciso, efficiente e finalmente capace e autorevole nella capacità del nostro paese di progettare il proprio modello di futuro e di proporlo al finanziamento degli strumenti (finalmente generosi) della Commissione Europea. Le risorse ci sono, occorrono concretezza, idee, creatività. Serve una task force capace davvero di capire i territori e le loro vocazioni, interpretare la competitività  del nostro sistema di imprese organizzato in  distretti, consorzi, reti e filiere, di elaborare proposte e modalità di partecipazione ai bandi europei e a tutte le occasioni di finanza agevolata, anche privata, che ci sono e che ci saranno. L'uscita dal Covid sarà sempre più all'insegna della sostenibilità, dell'innovazione, del benessere e della circolarità. Noi dobbiamo imporre al mondo il made in Italy dell'Economia Circolare.

Lo sappiamo, lo possiamo, lo vogliamo e lo dobbiamo fare.

Avevo capito che il Comitato Colao dovesse proporre soluzioni concrete e non fare fotografie con belle didascalie piene di buoni propositi.

Ma forse mi sbagliavo.
 

Tag:  dossier Colaoeconomia circolareripartenzasostenibilità

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