L'industria italiana ha risparmiato 14.4 miliardi grazie all'economia circolare

di Redazione

03/01/2023


L'economia circolare ha già fatto risparmiare nel 2021 a sette grandi settori industriali dell'Italia oltre 14,4 miliardi di euro, grazie all'adozione efficace di pratiche manageriali che hanno permesso di utilizzare meno risorse e di estendere il ciclo di vita dei prodotti.

Ma si tratta solo del 14% di quanto si potrebbe risparmiare entro il 2030 se la circular economy venisse applicata nella sua totalità: più di 103 miliardi all'anno, cui vanno aggiunte quasi 1,9 milioni di tonnellate di CO2 in meno.

È quanto emerge dal Circular Economy Report 2022 dell'Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, frutto di un sondaggio tra oltre 200 aziende appartenenti a sette settori produttivi centrali per l'economia italiana: l'automotive, le costruzioni, l'elettronica di consumo, il food&beverage, l'impiantistica industriale, i mobili e l'arredamento e il tessile.

Per la prima volta sono più della metà (il 57% contro il 44% nel 2021) le imprese intervistate che hanno adottato almeno una pratica di economia circolare, tra cui gran parte del comparto tessile e del food&beverage (80% o più), mentre è scesa al 27% la percentuale di chi non ne vuole sentire parlare. 

Sale inoltre al 61% la quota di aziende che ha investito significativamente, rispetto alla propria taglia, nell'economia circolare e che in più di metà dei casi stima tempi di rientro inferiori o pari a 2 anni: una scommessa che viene accompagnata dal sistema bancario-finanziario con finanziamenti saliti ad oltre 30 miliardi di euro.

"Sono tante le sfide ancora da affrontare con una più decisa volontà di azione, da quelle normative a quelle industriali, soprattutto legate alla riconversione dei business lineari, eppure pare lecito chiudere questo 2022 con un po' di ottimismo", ha commentato Davide Chiaroni, responsabile della ricerca e vicedirettore dell'E&S. Che aggiunge: "non bisogna lasciarsi distrarre dai temi 'caldi' né sottovalutare la portata, e il tempo necessario, per questa trasformazione. L'economia circolare infatti è altra cosa rispetto allo sviluppo sostenibile, né si può circoscrivere alle pratiche di riciclo dei materiali e di gestione dei rifiuti".

Il contributo maggiore al risparmio, a livello complessivo, deriva dalle pratiche di Recycle, con circa 3,5 miliardi di euro annui, seguite da quelle di Remanufacturing/Reuse e Take Back Systems (rispettivamente 2,3 e 2,2 miliardi). 
Di contro, le pratiche che al momento incidono meno, perché meno applicate, sono quelle di Design for Upgradability e Repurpose (0,7 e 0,6 miliardi). Il focus delle imprese infatti è ancora legato al riciclo dei prodotti/componenti e alle fasi di progettazione, per ridurre l’impatto ambientale e allo stesso tempo fornire opportunità di recupero e riutilizzo di prodotti e materiali all’interno dei propri sistemi produttivi: aspetti fondamentali ma certamente non esaustivi del valore della circolarità.

Tra i principali benefici di processo indicati dalle aziende che hanno applicato pratiche di economia circolare ci sono la riduzione dei rifiuti derivati dalla produzione e quella dell’impatto ambientale generato, oltre all’uso efficace di materiali riutilizzati o riciclati. Quanto ai benefici a livello aziendale, in testa troviamo lo sviluppo del brand aziendale e dell’immagine “green”, la creazione di progetti e prodotti innovativi e le partnership con soggetti terzi per programmi di logistica inversa. Tra i benefici economici, il più apprezzato è la valorizzazione economica degli scarti produttivi, seguita dalla crescita aziendale, dallo sviluppo di progetti e prodotti innovativi e dalla riduzione dei costi di produzione e dell’approvvigionamento dei materiali.

Il 57% delle aziende intervistate ha affermato di aver adottato almeno una pratica di economia circolare, in crescita rispetto al 44% dello scorso anno, e di conseguenza sono calati gli “scettici”, ossia coloro che non le hanno adottate e non intendono farlo, scesi dal 34% al 27%.

Il settore tessile è quello con la percentuale più alta (82%) di aziende che hanno implementato almeno una pratica manageriale di economia circolare, seguito dal food&beverage (80%), mobili e arredamento (62%) e impiantistica industriale (59%), mentre l’elettronica di consumo si ferma poco sopra il 15%.

Il 61% delle aziende che hanno investito nell’economia circolare ha stanziato fino 50.000 euro (per alcune una grossa cifra, se raffrontata alla loro dimensione), un quarto si è spinto tra i 50.000 e i 150.000 euro, il 4% ha superato i 500.000 euro. Tuttavia, appena il 10% ha beneficiato di incentivi o agevolazioni fiscali, a testimonianza di un’attenzione ancora scarsa sul fronte normativo e fiscale. Il tempo di ritorno degli investimenti è inferiore ai due anni in oltre il 50% dei casi, in circa il 30% addirittura inferiore all’anno (in genere si tratta di pratiche di Design out Waste e Recycle), ma per un altro 30% occorrono invece più di 3 anni.

Chi sceglie di adottare il paradigma dell’economia circolare lo fa per esigenze di sviluppo del business (52%) e per la richiesta del CdA (25%), dimostrando ancora una volta come la consapevolezza del top management rappresenti un driver fondamentale per la trasformazione.

Tuttavia, ci si ferma al riciclo dei prodotti/componenti e alle fasi di progettazione, per ridurre l’impatto ambientale e fornire opportunità di riuso di prodotti e materiali all’interno dei propri sistemi produttivi. Solamente il 18% del campione intervistato, meno ancora del già esiguo 23% dello scorso anno, dichiara poi di partecipare a un ecosistema di simbiosi industriale, in cui stabilimenti anche di filiere differenti interagiscono per massimizzare il riutilizzo di risorse normalmente considerate rifiuti; è però altrettanto vero che in genere le imprese che adottano l’economia circolare lo fanno per l’intera gamma di prodotti (35%) o per un buon numero di essi (28%). Ciò che invece dissuade le aziende dall’affrontare la transizione è essenzialmente l’incertezza governativa, che non agevola nella valutazione di decisioni strategiche, insieme ai costi e ai tempi di ritorno degli investimenti. Dal punto di vista normativo qualcosa sta cambiando, ma si è ancora ben lontani dall’affrontare il tema in maniera complessiva e integrata, continuando a concentrare l’attenzione sul riciclo e la gestione dei rifiuti. A giugno 2022 il Ministero della Transizione Ecologica ha definito un nuovo ordine di programmi e strumenti coerenti con la Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, basato su tre pilastri: il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti e il PNRR, dove per l’economia circolare sono stati stanziati 2,1 miliardi di euro, il 40% dei quali destinati all’agricoltura sostenibile.

Tra gli attori finanziari interessati alle tematiche ESG, la cosiddetta finanza sostenibile, si assiste a un aumento degli strumenti di debito e di capitale legati all’economia circolare, anche con la creazione di nuovi prodotti dedicati che risultano determinanti per supportare la transizione. Nei criteri utilizzati per la valutazione ESG vi sono infatti voci legate all’economia circolare che favoriscono il raggiungimento degli obiettivi in tutti e tre i pilasti della sostenibilità. All’intero del Rapporto i ricercatori riportano, a titolo puramente esemplificativo, alcuni di questi prodotti (che si possono osservare nella figura di seguito).

Complessivamente emerge come vi siano oltre 30 miliardi di euro disponibili tra fondi di private equity, venture capital e private debt (circa 1 miliardo di euro), fondi di public equity (oltre 2 miliardi), strumenti di debito (circa 14 miliardi), finanziamenti di progetti con fondi della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) (12,7 miliardi).

Alcuni operatori e associazioni, a livello europeo e italiano, hanno stabilito propri criteri o linee guida che li indirizzino nel valutare se un’impresa o un progetto contribuiscono o meno all’economia circolare: si attende la definizione dei Technical Screening Criteria che potrebbero costituire un metodo condiviso per la valutazione degli investimenti sostenibili, e quindi anche circolari, in tutta l’Unione Europea.
 

Tag:  Circular Economy Reporteconomia circolarefinanza sostenibilePolitecnico di Milano

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