Ma che cosa sta decidendo l’Europa per la sostenibilità delle filiere agroalimentari?

di Claudia Ceccarelli

03/11/2020

In questi giorni il Parlamento Europeo ha discusso e votato il tema della Riforma della Politica agricola comune (PAC) in accordo con il Green New Deal inaugurato dalla presidenza Van der Leyen. Il settore primario, come è facilmente comprensibile, rappresenta uno dei cardini della transizione ecologica, tanto più che la filiera agro-alimentare ha un enorme impatto ambientale, soprattutto in termini di emissioni di gas a effetto serra.
Per dare qualche cifra, la Fondazione Eni Enrico Mattei, impegnata con Food Impacts Initiative ad indagare la sostenibilità del settore alimentare, ha messo in luce come i sistemi agroalimentari sono responsabili del 75% delle emissioni di gas serra, mentre ad oggi il 75% dei terreni coltivabili risulta degradato. E quando si parla di territori degradati, non si parla soltanto (si fa per dire) di impoverimento dei suoli a fini produttivi, ma di vero e proprio dissesto idrogeologico che ha costi sociali ed economici molto elevati. 
Se i cittadini, anche nella loro veste di consumatori, sono diventati sempre più attenti e consapevoli della priorità della questione ambientale, come stanno mettendo in evidenza tutte le più recenti ricerche (tre le ultime quella di Boston Consulting Group), non altrettanto si può dire dei nostri decisori politici ai vari livelli.
     
Il voto della plenaria del Parlamento Europeo sulla PAC, infatti, secondo le parole dello stesso Commissario Ue all’agricoltura, Janusz Wojciechowski, “rappresenta un passo indietro preoccupante rispetto alle ambizioni ambientali che la PAC dovrebbe avere davanti alle gravi crisi ambientali globali che dobbiamo risolvere”. Tutta l’impostazione del Green New Deal in ambito agricolo con questo voto viene messa in discussione, a partire dal Farm to Fork, una delle strategie centrali della transizione ecologica europea, che si propone traguardi ambiziosi al 2030: ridurre del 50% l’uso dei pesticidi chimici più pericolosi, del 20% i fertilizzanti; del 50% le sostanze anti-microbiche per gli animali di allevamento e l'acquacoltura; e contemporaneamente portare al biologico almeno il 25% del totale dei terreni agricoli europei.
"La crisi del coronavirus ha dimostrato la vulnerabilità di tutti noi e l'importanza di ripristinare l'equilibrio tra l'attività umana e la natura – aveva avuto occasione di dichiarare qualche tempo fa Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione europea –. La strategia sulla biodiversità e la strategia Farm to Fork sono il fulcro dell'iniziativa Green Deal e puntano a un nuovo e migliore equilibrio fra natura, sistemi alimentari e biodiversità: proteggere la salute e il benessere delle persone e, al tempo stesso, rafforzare la competitività e la resilienza dell'UE”. 

E se, ben prima del coronavirus, era stato stimato che nel 2017 oltre 950.000 decessi nell'Ue (una vittima su cinque) erano da ricondurre ad abitudini alimentari malsane, c’è da chiedersi che cosa si debba ancora aspettare.

Ma, di fatto, col voto del 25 ottobre, i colegislatori europei “hanno cancellato ogni relazione coerente tra politica agricola europea e il Green Deal, mettendo una pietra tombale sull’avvio di una vera transizione ecologica delle filiere agricole e zootecniche in Europa” è il duro giudizio di #CambiamoAgricoltura, la Coalizione, nata sull’onda della campagna europea The living Land, che riunisce oggi quasi ottanta tra associazioni ambientaliste, come Legambiente, Lipu e WWF, e dell’agricoltura biologica e biodinamica, oltre a Slow Food, ISDE - Associazione Medici per l’Ambiente e associazioni di consumatori. Una posizione nettamente critica condivisa da vastissimi settori della ricerca scientifica, ed espressa anche attraverso un appello sottoscritto da ben 3600 personalità europee. Tra l’altro, non mancano stupore e sorpresa per “l’intento di alcuni gruppi politici e dei Ministri dell’Agricoltura di far passare agli occhi della stampa e dell’opinione pubblica questo voto come una svolta green della PAC, quando nei fatti non lo è assolutamente”.

E l’Italia? Il paese delle produzioni tipiche, delle eccellenze e delle tradizioni enogastronomiche invidiate da tutto il mondo? Il nostro ministro alle Politiche agricole Teresa Bellanova, nell’ambito del Consiglio europeo AgriFish, ha assunto una posizione decisamente contraria verso gli ecoschemi, i canali di finanziamento dedicato agli agricoltori che vogliono diminuire l'impatto ambientale delle loro aziende tramite azioni di mitigazione del cambiamento climatico. 
Mentre già dalla scorsa estate larga parte del mondo agricolo italiano più impegnato a favore dell’ambiente chiedeva fiduciosamente alla nostra Ministra di farsi portavoce di una percentuale al 30% di questi ecoschemi, per finanziare soprattutto i produttori più sostenibili, in ambito europeo Bellanova si è espressa negativamente anche sulla quota più modesta del 20%. «Non ritengo opportuno – ha spiegato la Ministra - fissare a priori una percentuale di risorse dei pagamenti diretti da destinare agli ecoschemi. A mio avviso, questa scelta deve essere effettuata nell'ambito del piano strategico, a seguito di una robusta analisi dei fabbisogni».

Questo vuol dire che i quasi 60 miliardi di euro dei contribuenti dell’UE destinati ai sussidi della PAC, saranno distribuiti senza che la sostenibilità ambientale, sociale ed economica ne costituisca un criterio portante, andando così per lo più a finanziare un modello di agricoltura intensiva e di allevamento industriale aggressivi verso l’ambiente e la biodiversità. Con buona pace sia delle istanze di conservazione delle risorse naturali, sia delle fatiche della grande platea di piccoli coltivatori delle aree interne. 

Il problema è che “al di là delle tinte verdi tanto sbandierate in questi giorni da più parti – ha spiegato il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani –, le misure agroambientali non verranno adeguatamente sostenute e si continuerà a finanziare un modello agricolo che porta alla perdita di biodiversità, contribuendo alla crisi climatica”. E ha aggiunto: “Evidenziamo con forza il grande ruolo della società civile, delle associazioni ambientaliste e del biologico italiane ed europee, mobilitatesi come non mai per incidere sul risultato del voto, testimoniando in questo modo il desiderio diffuso di un’agricoltura più sostenibile e pulita.”
Perché la partita non è ancora chiusa. Il voto del Parlamento UE certamente ha costituito un segnale negativo, ma tra qualche settimana la riforma della PAC sarà oggetto del decisivo negoziato del “Trilogo UE” (Commissione, Consiglio e Parlamento), che si concluderà entro la primavera del 2021.
 

Tag:  #CambiamoAgricolturaagroalimentareGreen New DealParlamento europeosostenibilitàsostenibilità del sistema agroalimentare

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