Naturalmente sostenibili e circolari. Ecco perché il futuro parlerà sempre di più il linguaggio delle cooperative

di Paolo Marcesini (ha collaborato Laura Salerno)

14/09/2021

Simone Gamberini
Coopfond è il Fondo mutualistico di Legacoop: riceve ogni anno il 3% degli utili realizzati dalle cooperative aderenti e utilizza queste risorse per promuovere la nascita di nuova cooperazione e lo sviluppo di quelle esistenti. Agisce con finanziamenti o partecipazioni temporanee nel capitale delle cooperative, ma anche attraverso interventi stabili ed erogazioni a fondo perduto a sostegno di iniziative particolarmente meritorie. Tra le direttrici di intervento, uno spazio rilevante occupa la promozione di nuove cooperative. Su questo versante particolarmente rilevanti sono il programma Coopstartup, che dal 2013 ha coinvolto 3.629 persone portando alla nascita di 72 progetti d’impresa di cui 48 già trasformati in cooperative, e le azioni per i workers buyout, che hanno favorito la nascita di 66 cooperative salvando oltre 1.700 posti di lavoro. 
Simone Gamberini è Direttore generale di Coopfond
 
Direttore, in che modo la sostenibilità e la circolarità sono oggi al centro degli investimenti del Fondo?
Fin da quando ci siamo costituiti nel 1993 siamo sempre stati degli “agenti della sostenibilità”, magari senza nemmeno saperlo. Oggi stiamo caratterizzando in modo strutturale e consapevole la nostra identità e la nostra missione. Vogliamo essere uno strumento indispensabile capace di supportare la transizione verso la sostenibilità e la trasformazione tecnologica e digitale del mondo cooperativo. Questo per noi significa finanziare lo sviluppo e la crescita delle cooperative italiane, mettendo a disposizione le nostre risorse e cercando di orientare i nostri investimenti verso progetti imprenditoriali di riposizionamento reali orientati verso la sostenibilità e i suoi obiettivi. La nostra attività si è sempre rivolta verso cooperative e progetti che avevano già un orientamento molto forte rivolto alla sostenibilità. In occasione del nostro primo Bilancio di sostenibilità abbiamo realizzato un monitoraggio dei nostri investimenti e quello che ne è emerso è che circa il 96% di essi è sostenibile e almeno il 70% si muove in un’ottica di riduzione degli impatti ambientali.
 
In quale direzione operate?
Ci sono settori che per loro natura e identità sono improntati alla sostenibilità e si muovono con decisione in quella direzione, altri che invece vanno accompagnati. La funzione di “accompagnamento” del Fondo è in pratica un finanziamento, anche a fondo perduto, utile alla pianificazione e riposizionamento delle cooperative attraverso progetti concreti di sostenibilità. Questo servizio lo abbiamo messo al centro della nostra mission, un aspetto evidente in settori come l’agroalimentare o il sociale, più trasversale su quelle filiere che hanno oggi la necessità di valorizzare investimenti orientati soprattutto all’Economia Circolare.
 
Lei ha parlato di mission sostenibile inconsapevole. Forse perché l’essere cooperativa rappresenta di per sé un fattore competitivo di sostenibilità?
L’essere una cooperativa definisce una sostenibilità naturale nelle sue tre dimensioni, sociale economica e ambientale. Ci siamo accorti nel tempo che spesso una parte di questa mission si era ridotta a una mera teoria e a una dichiarazione di intenti statutaria piuttosto che mirata alla realizzazione di progetti e strategie concrete e realmente impattanti nel loro modo di fare ed essere imprese. Per questo nelle nostre attività di sostegno finanziario allo sviluppo del progetto imprenditoriale delle nostre cooperative abbiamo inserito un servizio di accompagnamento che serve a costruire una cultura reale della sostenibilità, concreta e misurabile.
 
Oltre a rappresentare un rafforzamento dell’identità e della mission della cooperativa, oggi la sostenibilità è diventata un reale fattore competitivo. Nelle imprese oggi si parla sempre più spesso di rating ESG, indici di circolarità e del raggiungimento degli obiettivi SDGs definiti dall'Agenda Globale per lo Sviluppo Sostenibile. La rendicontazione non finanziaria sta diventato uno strumento finanziario indispensabile. Tutto ciò significa un rapporto migliore con i fondi di investimento, le banche, il credito. Lavorare sugli obiettivi di sostenibilità significa dimostrare concretamente che l’impresa sta investendo nel futuro. E i capitali oggi cercano solo investimenti capaci di guardare al futuro. 
In relazione agli investimenti che facciamo, questo rappresenta un elemento di complessità. Noi abbiamo impostato la nostra attività orientandola a interventi che vanno sempre più in quella direzione. Esistono criteri di valutazione, indici e matrici che aiutano e garantiscono gli investimenti, ma sono criteri che non sempre riescono a comprendere la dimensione e l’impatto dell’impresa cooperativa in quanto tale.
 
Le matrici che in questo momento sostengono gli investimenti e lo sviluppo sostenibile sono quindi inadeguati a leggere la complessità del modello cooperativo?
Questa è la difficoltà più grande che abbiamo cercato di rappresentare nel nostro Bilancio di Sostenibilità. Stiamo iniziando adesso a prendere consapevolezza della necessità di costruire degli indicatori che per noi siano realmente rappresentativi. Avendo un portfolio composto solo da cooperative, per noi questo diventa un tema centrale. Vogliamo creare un percorso di fattibilità per definire un rating reale di sostenibilità degli investimenti del Fondo, uno standard utile alla classificazione delle cooperative del nostro portfolio, che inevitabilmente servirà a tutto il mondo cooperativo.
 
Avete già finanziato molti progetti di economia circolare. Ci può fare qualche esempio?
Ci sono diversi progetti in corso che riguardano varie filiere dell’Agroalimentare, in particolare dell’Oliva e del Vitivinicolo. “Legàmi di Vite” ha come capofila alcune cooperative dell’Emilia Romagna che attraverso un contratto di sviluppo hanno messo in rete sia i produttori che i conferitori allo scopo di raccogliere, differenziare e riutilizzare tutto lo scarto generato dalla filiera. Sulla filiera Olivicola ci sono diversi progetti in corso in Toscana, ad esempio con il Consorzio Montalbano. Anche in questo settore esistono già tecnologie consolidate che consentono lo sviluppo di materie prime seconde e prodotti non più sperimentali, ma capaci di generare nuovi mercati. Poi ci sono interventi che stiamo studiando nella filiera, soprattutto in un’ottica di accompagnamento, nel settore della logistica, per il rinnovo complessivo delle flotte investendo nella mobilità elettrica o a biogas e la conseguente riduzione dei consumi di carburante fossile e dell’impatto energetico dei magazzini. Se si tratta di micrologistica incentiviamo l’elettrico, mentre se si parla di macrologistica, il biogas. Anche in quel caso investiamo moltissimo sul digitale che produce effetti e impatti notevoli, in termini di rendimento reale dei mezzi, riduzione dei viaggi e inversione del consumo di suolo dei magazzini. La riconversione che stanno facendo oggi le nostre cooperative si basa sulla sostenibilità ed è sostenuta dal digitale. Il dialogo tra questi due principi di innovazione è determinante al raggiungimento reali degli obiettivi.
 
La transizione tecnologica che viviamo ormai da molto tempo, e che ci ha spaventato soprattutto per le sue conseguenze occupazionali, adesso sta rimettendo l’uomo e i suoi bisogni al centro. Si parla di umanesimo digitale. Le piace questa definizione?
Molto. Se serve a migliorare le condizioni di vita e lavoro dell’uomo la tecnologia è utile, altrimenti no. Alcuni dei progetti di economia circolare che abbiamo finanziato riguardanti l’Agricoltura 4.0, quella che mi piace definire “agricoltura intelligente”, e il trattamento degli scarti di lavorazione grazie all’utilizzo delle tecnologie digitali hanno ottenuto risultati non previsti come la riduzione del consumo delle risorse idriche e l’utilizzo intelligente del suolo. Risultati che hanno migliorato il rapporto di coesione delle nostre cooperative con i territori dove operano. Il nostro lavoro consiste appunto nell’apportare capitale alle imprese e strutturare delle premialità calcolabili grazie anche agli effetti indotti in relazione alla sostenibilità, la qualità della vita dei nostri soci e collaboratori e il soddisfacimento dei bisogni reali delle comunità dove “vivono” le nostre cooperative.
 
Questa sembra essere oggi la scommessa più rilevante.
È per vincere questa scommessa che stiamo cercando di elaborare un metodo che ci consenta di essere più vicini alle nostre esigenze. Abbiamo acquisito come modello di riferimento l’Impact Management Project, su cui andare a lavorare per identificare gli impatti diretti e indiretti collegati agli SDGs. La classificazione dell’impatto si configura all’interno di cinque dimensioni per capire se gli investimenti che facciamo provocano effetti positivi o negativi sulle persone o sul pianeta. Cerchiamo quindi di misurare gli effetti che producono e classificarli, identificando quali soggetti coinvolgere, valutando se il ruolo della cooperativa migliora o peggiora l’effetto rispetto a quello che accadrebbe ad altri modelli di imprese presenti sul mercato e alla fine analizziamo il rischio, cioè la probabilità che gli effetti siano diversi dalle aspettative. A volte i risultati sono più bassi rispetto a quelli stimati, altre volte si verificano conseguenze che non erano state stimate perché non attese.
 
In che modo questo metodo di analisi del rischio ha condizionato il vostro portafoglio? 
Lo abbiamo suddiviso in tre grandi categorie. Prima di tutto verifichiamo che gli interventi siano finalizzati a evitare danni alle tre dimensioni della sostenibilità nei confronti degli stakeholder, della comunità e della cooperativa stessa, i soci, i lavoratori e le loro famiglie. Non possiamo peggiorare la situazione. Sono coerenti con quanto previsto ad esempio dal PNRR.  Rappresentano circa il 60% dei nostri investimenti. Ci sono poi interventi che producono benefici reali diretti alle persone e al pianeta che generano performance positive a lungo termine e danno un contributo sostanziale al raggiungimento di tutti i 17 obiettivi di sostenibilità e i 169 target. Ci sono investimenti poi che contribuiscono a trovare soluzioni specifiche rispetto a problemi strutturali che definiscono il modo di operare e stare sul mercato delle nostre cooperative e delle filiere. Stiamo cercando di individuare degli indicatori che ci consentano di valutare nel tempo l’evoluzione dei nostri investimenti all’interno di quelle tre macro categorie”. 
 
Quanto possono incidere sul fatturato consolidato di una cooperativa l’investimento nella valorizzazione delle materie prime o seconde, il risparmio di materia, l’uso di energia rinnovabile?
Il risultato è diverso da settore a settore, ma di sicuro rappresenta un fattore competitivo e strategico non più rinviabile. Spesso lo possiamo vedere nelle forme di accreditamento: oggi un’impresa che si riposiziona su questi temi e riesce a certificare prodotti e servizi, può facilmente diventare fornitore anche di grandi gruppi internazionali, multinazionali che vedono nella scelta sostenibile dei loro fornitori una forma valorizzabile e comunicabile di responsabilità sociale verso i loro soci e stakeholder. 
 

Tag:  cooperativeCoopfondeconomia circolareLegacoopSimone Gamberinisostenibilità

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