Nella Penisola in fiamme brucia anche la sostenibilità del bosco

di Claudia Ceccarelli

06/08/2021


Roghi in Sardegna, Sicilia, Abruzzo, Molise, Marche, Lazio. Il bilancio degli incendi che stanno divorando i boschi italiani in questa estate 2021 è ancora provvisorio, ma si preannuncia già drammatico: un patrimonio boschivo inestimabile di ettari ed ettari andato distrutto, decine di case minacciate dalle fiamme, migliaia di famiglie evacuate, persone ferite, animali selvatici morti, attività turistico-ricettive in ginocchio, e danni gravissimi all’agricoltura, all’allevamento e alla pastorizia. Dal 15 giugno ad oggi i Vigili del Fuoco hanno effettuato circa 40.000 interventi, più del 35% in più rispetto al 2020. 

Come ogni anno ci si interroga sulle responsabilità dirette di questo disastro. Le indagini hanno messo in evidenza che solo il 2% degli incendi può essere ricondotto a cause naturali, e il 98% è causato dall’uomo. Dunque chi è che appicca il fuoco? In che misura gli incendi sono di origine dolosa oppure colposa, dovuti a distrazione e ignoranza? Quali interessi ci sono dietro a tutti quei focolai dall’innesco in contemporanea nelle giornate soleggiate e ventose, ideali per la propagazione veloce e micidiale delle fiamme? 

E non è possibile sottrarsi nemmeno alle domande sulle responsabilità indirette, quelle che riguardano il fronte della prevenzione, dell’intervento durante l’emergenza e della sanzione ed effettiva condanna dei colpevoli. A partire dalla cura dei boschi: in Italia, un Paese con circa il 35% di superficie boschiva, li stiamo gestendo come risorsa paesaggistica, economica, sociale e culturale? I mezzi di soccorso sono abbastanza numerosi da garantire un presidio di sicurezza? Le forze in campo sono sufficienti e organizzate nel modo migliore per condurre con efficacia questa battaglia? I colpevoli sono effettivamente individuati e poi puniti? Le zone boschive distrutte dagli incendi vengono correttamente perimetrate e registrate al catasto, così da rendere effettivi quei vincoli legali dissuasivi che, impedendone usi diversi da quelli precedenti al disastro, dovrebbero rendere l’incendio svantaggioso sul piano degli interessi speculativi?

Domande che ogni anno puntualmente vengono riproposte, mentre il fenomeno sta assumendo una drammaticità sempre maggiore.  “È più che evidente come eventi del genere, che negli ultimi anni tornano a ripetersi con maggiore frequenza e intensità e con dinamiche spesso del tutto simili tra loro, non possano più essere affrontati in un’ottica emergenziale, come da tempo da noi denunciato – sottolinea Antonio Nicoletti, Responsabile Nazionale Aree Protette e Biodiversità di Legambiente –. La parola d’ordine è prevenzione: bisogna puntare sulla prevenzione forestale a tutti i livelli pianificatori, eseguire l’analisi della previsione dei rischi e valutare le azioni necessarie per ridurre la vulnerabilità delle foreste. Serve, in particolare, un sistema di prevenzione multirischio (patologie, incendi, eventi estremi). Di fondamentale importanza, inoltre, il presidio e la cura del territorio e il contrasto all’abbandono del bosco. Infine, è altrettanto importante organizzare un sistema di intervento di protezione civile che metta in atto misure efficaci per tamponare la prima emergenza ed evitare che i danni abbiano effetti prolungati e più gravi dal punto di vista economico, paesaggistico e sociale”. 

L’incendio si propaga proprio laddove incuria, assenza di manutenzione e pianificazione nella gestione del bosco mettono in oggettivo pericolo le aree boschive e gli insediamenti produttivi e abitativi più prossimi. 
Soprattutto è significativo che il fenomeno incendi sia affrontato, indagato e descritto in modo sistematico nel Rapporto Ecomafie, curato da Legambiente. Sempre attenta nel monitorare l’emergenza incendi nel nostro paese, l’associazione mette in evidenza come il fuoco, per chi lo appicca, rappresenti soprattutto un “mezzo intuitivo ed economico di problem solving”. In base agli scopi si possono individuare due categorie di incendiari - visto che i piromani, ovvero le persone con uno specifico disturbo psicologico, costituiscono eccezioni proprio come lo è la combustione per cause naturali (i fulmini). 

La prima categoria di incendiari comprende persone che vivono nell’ambiente rurale e ricorrono al fuoco come “modalità di gestione” del territorio: contadini che vorrebbero eliminare residui colturali e stoppie, oppure pastori che intendono riconquistare al pascolo aree magari ricoperte di boscaglia, o ancora cacciatori che in questo modo vorrebbero far spostare e concentrare la fauna cacciabile. In questi casi, il fuoco sfuggendo al loro controllo per imperizia, negligenza o sottovalutazione del rischio, diventa causa di gravi devastazioni in termini di perdita di patrimonio boschivo, di biodiversità e di pericolo per gli uomini.
La seconda categoria comprende invece quelli che agiscono sulla base di fini speculativi più ampi e stratificati, dalla volontà di mantenere uno stato di emergenza, ritenuto in qualche modo vantaggioso, allo smaltimento illegale di rifiuti, dalla mancanza di collaudo per opere male eseguite, che così vengono distrutte, per giungere a conflitti di varia natura tra privati e Pubblica Amministrazione. Il fatto è che per gli investigatori non sempre è facile operare una distinzione netta fra queste due macro-categorie. 

Il Rapporto Ecomafie 2021, anticipato in questi giorni dalle pagine del “Corriere della sera”, rivela che nel 2020 sono andati in fumo 62.623 ettari (+ 18% rispetto all’anno precedente); i reati segnalati sono stati 4.233, ma le persone denunciate soltanto 552 e 18 quelle alla fine arrestate. Sulle responsabilità a monte, Enrico Fontana, Economia civile di Legambiente, è netto: “Gli appetiti della ‘ndrangheta nella gestione del patrimonio boschivo sono dimostrati”. E non è un caso che nel 2020 il 54,7% dei reati di incendio e l’82% della superficie boschiva danneggiata si siano registrati proprio nelle quattro Regioni a tradizionale presenza mafiosa.

Quando va distrutto un bosco i danni provocati all’ambiente sono incalcolabili: le conseguenze per l’equilibrio naturale sono gravissime sia per gli effetti immediati della combustione su terra aria e acqua sia per i tempi lunghi necessari al riassetto dell’ecosistema. Inoltre la distruzione dei boschi spesso comporta conseguenze di lungo periodo come fenomeni di dissesto idrogeologico dei versanti collinari, di scivolamento degli strati di terreno superficiale e di desertificazione dei territori.

“Le previsioni del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) – ricorda infine Legambiente -, ci dicono che entro la fine del secolo le temperature estive nel Sud Italia sfioreranno costantemente i 40 gradi: se non gestite con cura, le foreste rischiano di essere danneggiate dal fuoco, dal vento e di non risultare più efficaci contro il dissesto idrogeologico.”
Nell’ambito di un modello di sviluppo orientato alla sostenibilità, la difesa dei boschi esistenti appare come una delle priorità. Anche qui servono investimenti, che vogliono dire sicurezza, posti di lavoro e difesa del futuro.  
 

Tag:  incendi boschiviincendi estate 2021Legambiente

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