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Non sprecare per tradizione: la cucina italiana che non butta via niente
Non sprecare per tradizione: la cucina italiana che non butta via niente
di Andrea Begnini
13/01/2021
“L’articolo 5 del Codice Etico dell’Accademia Italiana della Cucina afferma solennemente che essa è contraria allo spreco di cibo. A fronte della fame nel mondo, tale spreco è un fenomeno intollerabile sotto il profilo ambientale, sociale ed etico”. Apre così l'introduzione del Presidente dell’
Accademia Italiana della Cucina
Paolo Petroni
al libro
La cucina del riuso
, disponibile gratuitamente online sul sito dell'Accademia. Una tradizione molto italiana, quella di creare e ricreare meraviglie gastronomiche partendo dagli scarti, come bucce di patate, di carote, di piselli, di carciofi, che hanno la loro dignità se ben preparate. Ma anche, se non soprattutto, dai veri e propri avanzi di pane, pasta, riso, pesce, carne e verdure che generano prelibatezze regionali come il pancotto, la pappa al pomodoro, la ribollita, il timballo e la frittata di maccheroni, oltre al polpette e polpettoni.
Un mondo attuale e saporito che il libro percorre regione per regione, partendo dalle formidabili zuppe e dolci popolari valdostani come la
vapelenentze
(brodo di carne e di cavoli verza, a volte brasati-arrostiti, fette di pane raffermo, a volte ricoperto di burro fuso e passato in padella, fontina, cannella e noce moscata) o
lou pan perdu
(fette di pane raffermo messe nel latte per ammorbidirlo, poi nell’uovo sbattuto e fritte, sulla stufa, con tanto zucchero). E attraversando tutto il Nord Italia, compreso il Piemonte con il
brus
, una saporita crema ricavata dagli scarti e dagli avanzi di formaggio che, racchiusi in contenitori di coccio, fermentavano per la presenza di batteri, e la Liguria con la tradizione del
minestrone fritto
, ovvero avanzato, compattato, cotto e servito sui gozzi o chiatte che, avvicinandosi a vascelli e galeoni ormeggiati in porto, lo vendevano facendosi calare dall'alto il recipiente.
Ricette e tradizioni popolari s'intrecciano in questo libro in una narrazione che percorre tutto lo stivale, passando per la cucina romagnola nella quale la cucina del riuso è strettamente legata ai piatti tipici del territorio. Allora, ecco che da carni e salumi avanzati nascono polpette e polpettoni con l'aggiunta di un panino ammollato nel latte, un uovo, tre cucchiai di formaggio grattugiato, prezzemolo, aglio, mezza cipolla tritata finemente e qualche fetta tritata di prosciutto. Aggiungendo agli avanzi di lesso del brodo di Natale un po’ di salsiccia, petto di pollo, pane grattugiato, formaggio e uova, si preparava il ricco
polpettone
del pranzo di Santo Stefano, cotto al forno. In Toscana gli avanzi di cacciucco si passano al tritatutto, scartandone prima solo le lische più resistenti, poi si integrano con la mollica di pane, un po’ di prezzemolo tritato, uova sbattute, un accenno di aglio e sale, fino ad ottenere un composto omogeneo per preparare le
polpette di pesce
. Sempre in Toscana, il lesso avanzato diventa, con l'aggiunta di cipolle, la
francesina
, nata per compiacere i palati dei pellegrini d’Oltralpe lungo la via Francigena.
In Ciociaria, ecco la
panzanella abbrustolita
, nella quale il pane è bagnato in un composto di olio, aceto, sale e pepe, poi tostato al forno per cinque minuti e infine condito con pomodorini, cipolla rossa, mozzarella, aglio tritato, basilico e filetti di acciuga. Un altro tipico uso del pane secco è il
pancotto
, piatto serale degli anziani di un tempo: si prepara, nella versione più semplice, facendo bollire il pane raffermo, tagliato a pezzi, insieme con uno spicchio d’aglio, servendolo poi caldo, condito nel piatto con l’olio d’oliva. Nell’Alta Tuscia, si fanno bollire anche il sedano, la carota e la cipolla mentre sui monti della Tolfa si uniscono pomodorini, aglio e cipolla e al condimento con olio a crudo si aggiunge il formaggio grattugiato. Fino ad arrivare alla prassi quotidiana del riuso del pane in Sicilia con la
panzaneddra
di Enna, riferimento al duca Alfio Panzanella che la importò riscuotendo facile e largo successo, oppure, in Sardegna, con il
pane frattau
ottenuto con il recupero del pane carasau in procinto di diventare acido: un piatto così povero, in origine, che chi era benestante se lo preparava rigorosamente a porte chiuse, affinché i vicini non ne venissero a conoscenza.
La cucina del riuso
è disponibile gratuitamente qui:
https://www.accademiaitalianadellacucina.it/sites/default/files/86_Quaderno.pdf
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