Oltre al profitto c'è molto di più.

di Riccardo Taverna

03/09/2019

Sono stati necessari quarant’anni e l’impegno incessante di studiosi, ricercatori e imprenditori illuminati per mandare in soffitta Milton Friedman, l’economista premio Nobel che aveva dichiarato che “l’unica responsabilità sociale dell’azienda è fare profitti”. Dal 1970, l’anno della “triste” affermazione, le multinazionali per quattro decadi hanno “attentato” all’ambiente, vessato i dipendenti, ignorato sistematicamente gli stakeholder. E hanno gestito le risorse del pianeta in modo scellerato. Le stime aggiornate, infatti, ci dicono che nel 2050 per soddisfare le esigenze della popolazione mondiale, stimata in 9,5 miliardi di individui, ci vorranno tre pianeti terra. Il “Club di Roma” con il suo rapporto “I limiti dello sviluppo” (1972) aveva cercato di mettere in guardia il mondo. Friedman era arrivato prima. E dall’alto della sua autorevolezza aveva fornito alle aziende l’alibi per poter agire indiscriminatamente.

L’urlo di dolore del pianeta però è arrivato, finalmente, nei consigli di amministrazione e Milton Friedman è stato “defenestrato”. 181 multinazionali statunitensi che aderiscono alla Business Roundtable, un’associazione di amministratori delegati che ha lo scopo di promuovere la crescita dell’economia statunitense attraverso politiche pubbliche efficaci, hanno risposto il 19 agosto sottoscrivendo una dichiarazione congiunta nella quale si impegnano nei confronti di tutti i loro stakeholder a trasferire valore ai clienti, investire nelle proprie persone con, per esempio (nda), compensi adeguati, formazione e favorendo l’inclusione, gestire correttamente ed eticamente i rapporti con i fornitori, sostenere le comunità nelle quali operano e generare valore di lungo periodo per gli azionisti.

Quattro giorni dopo, il 23 agosto, 32 aziende del settore del tessile e della moda hanno sottoscritto il Fashion Pact, impegnandosi a raggiungere degli obiettivi di sostenibilità condivisi. Per scegliere gli obiettivi hanno fatto riferimento alla Science Based Target che si focalizza su tre tematiche per salvaguardare il pianeta: l’azzeramento delle emissioni di gas serra, il ripristino della biodiversità, la protezione degli oceani. Sintetizzando, dopo Friedman la qualità del profitto è diventata tanto importante quanto la quantità.

Siamo a una svolta? Forse. Perché si inneschi una reazione a catena che provochi un processo di cambiamento verso la sostenibilità occorre raggiungere una massa critica di imprese, investitori, clienti, consumatori e dipendenti che siano convinti della necessità di agire per rendere il fenomeno inarrestabile. In questo contesto, le 181 multinazionali statunitensi rappresentano (dati del 2018) 15 milioni di lavoratori e ricavi per oltre $ 7.000 miliardi. Stiamo parlando di un valore superiore al prodotto interno lordo del Giappone ($ 5.000, miliardi), la terza economia del mondo. Una massa critica esorbitante che, in potenza, può fare la differenza se gli amministratori delegati passano concretamente dall’intento all’azione. 

Si potrà parlare di svolta quando il consiglio di amministrazione sarà il promotore della diffusione della cultura della sostenibilità sia all’interno dell’impresa, sia nei confronti dei propri stakeholder e, soprattutto, nei confronti della comunità. Una svolta che parte dalla missione dell’impresa che dovrà necessariamente cambiare e per la quale il “come” si genera il profitto è tanto importante quanto il “quanto” se ne genera.

Occorre ripensare l’impresa. Come dice Stefano Zamagni, presidente dell’Accademia pontificia delle scienze sociali e massimo studioso di Economia Civile, “si tratta di ripensare, in chiave generativa, il ruolo dell’impresa nel nuovo contesto economico (…). È ormai acquisito che l’azione economica, oggi, non può essere riduttivamente concepita nei termini di tutto ciò che vale ad aumentare il profitto sperando che ciò possa bastare ad assicurare la convivenza sociale. (…). Il bene di ciascuno può essere raggiunto solo con l’opera di tutti. E, soprattutto, il bene di ciascuno non può essere vantaggiosamente fruito se non lo è anche dagli altri. È questa la grande sfida di civiltà che le imprese devono saper cogliere dotandosi di una dose massiccia di coraggio e di saggezza”.

Questa è la direzione che gli amministratori delegati devono seguire per far passare un intento nobile a un’azione che crei “valore condiviso”. Il legislatore invece, continua a latitare. Ed è compito degli amministratori delegati sensibilizzare la politica perché intervenga a favorire l’innesco nelle filiere. Mentre l’Italia sta formando il suo nuovo governo un ministero dello sviluppo sostenibile che comprenda lavoro, sviluppo economico, ambiente e trasporti è quanto di più moderno, visionario e allo stesso tempo concreto ci possa essere.
 
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