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Perché un ministero per l'Economia Circolare?
Perché un ministero per l'Economia Circolare?
di Paolo Marcesini
26/08/2019
È un'occasione storica, possiamo essere il primo paese al mondo
a nominare un ministro per l'Economia Circolare,
per mettere a sistema competenze,
coordinare investimenti e progettare interventi mirati.
"L'Economia Circolare deve essere al centro delle politiche ambientali del nostro paese". Questa frase, in questi giorni di crisi, è entrata prepotentemente nel dibattito e nella dialettica politica. L'ex presidente del consiglio Giuseppe Conte ne ha parlato in Senato, poco prima di dare le dimissioni. Matteo Renzi annunciando l'intenzione del Partito Democratico di fare un accordo con il M5s, tra le convergenze possibili ha citato proprio l'Economia Circolare. Tra i cinque punti enunciati da Nicola Zingaretti, la sostenibilità ambientale, declinata anche nella sua circolarità, è stato una delle questioni programmatiche su cui provare ad impostare un governo di legislatura. Luigi di Maio al Quirinale, uscendo dalle consultazioni con il Presidente Mattarella, ha letto un documento utile ad ipotizzare una "interlocuzione" possibile per una nuova maggioranza e tra queste ipotesi ha evidenziato il ruolo dell'Economia Circolare. Ermete Realacci, presidente e fondatore di Fondazione Symbola, e prima ancora di Legambiente, storico esponente del Partito Democratico, parlando di governo green lo ha definito un sogno possibile.
Contemporaneamente negli Stati Uniti 181 colossi dell'economia e della finanza (tra questi Jp Morgan, Amazon, Apple, Accenture, At&t) hanno reso pubblico un documento in cui dichiarano che il capitalismo per essere buono deve prima di tutto proteggere il pianeta. . Insomma, tra l'economia liberista di Milton Friedman che definiva la responsabilità sociale delle imprese esclusivamente attraverso l'aumentare dei profitti e l'economia sociale di mercato teorizzata da John Maynard Keynes arriva un nuovo sogno americano che mette al centro del fare impresa il rispetto per il pianeta e le persone. Secondo il Congresso americano la crisi ambientale in corso vale il 10% del Pil di tutti gli Stati Uniti.
Investire nella sostenibilità e nella circolarità quindi conviene. Segnali non deboli per una rivoluzione in corso.
Ma torniamo in Italia.
Qualche settimana fa il nostro mondo imprenditoriale e associativo legato all'Economia Circolare (da Confindustria a CNA, da Legacoop a Utilitialia) ha lanciato un grido d'allarme per denunciare il blocco del settore e indirizzare un appello a Governo e Parlamento per aggiornare in tempi brevi il nostro quadro normativo in materia di End of Waste. "Va subito recepita la norma europea che consente il rilascio delle autorizzazioni al riciclo". Non è una questione da poco. La misura dello Sblocca Cantieri in materia di cessazione della qualifica di rifiuto si era limitata a salvaguardare le tipologie e le attività di riciclo già previste e regolate dal 1998, un'era geologica fa, escludendo di fatto quelle più innovative nel recupero di materia prima seconda, le più efficaci nell'azione di tutela ambientale e le più promettenti in termini di sviluppo di buone pratiche. Tanto per dare una cifra, il sostanziale blocco delle operazioni di sviluppo per il riciclo dei rifiuti nel nostro Paese ha un costo di circa 2 mld di euro l'anno e pesanti ricadute sull'ambiente, l'occupazione, la salute dei cittadini e la gestione dei rifiuti per le famiglie e le imprese.
La soluzione ci sarebbe e viene indicata nel recepimento del Pacchetto di Direttive dell'UE in materia di Economia Circolare, pubblicato a giugno 2018. Se ne parla poco ma siamo di fronte ad un'autentica emergenza strutturale e legislativa.
Perché lo spreco trasformato in opportunità e il rifiuto che diventa materia prima seconda riguarda tutto il sistema di relazione tra produzione e consumo, nessuno escluso; l'energia, il suolo, la progettazione, la costruzione, i materiali, il retail, il cibo, la ricerca scientifica, la bioeconomia, il benessere dell'uomo e degli animali.
E pensare che i soldi in questo caso non mancano.
A Davos, a gennaio, ne è stato stimato il valore potenziale: 3.000 miliardi di dollari nel mondo. Secondo la Commissione Europea, i cui dati sono stati aggiornati da Banca Intesa, saranno 875 i miliardi di investimenti in Europa da qui al 2025 (88 miliardi solo in Italia con un potenziale di 575 mila occupati) necessari per rendere circolare la nostra economia, ridefinire le filiere produttive, aggiornare le competenze, investire in ricerca e sviluppo. Stiamo parlando di risorse pubbliche e private e di fondi strutturali, diretti e indiretti.
E poi c'è la finanza.
Quella privata che opera attraverso i fondi d'investimento. E le banche. Cassa Depositi e prestiti è una delle cinque banche europee che hanno deciso di promuovere un'iniziativa congiunta del valore complessivo di 10 miliardi di euro per sostenere lo sviluppo e l'attuazione di progetti e programmi di economia circolare all'interno dell'Unione europea nell'arco dei prossimi cinque anni (2019-2023). Gli altri quattro istituti nazionali di promozione europei sono la polacca Bank Gospodarstwa Krajowego, il francese Gruppo Caisse des Dépôts et Consignations, lo spagnolo Instituto de Crédito Oficial e il tedesco Kreditanstalt für Wiederaufbau. Nell'ambito dell'iniziativa, estesa a tutti gli Stati Ue, saranno offerti prestiti, investimenti azionari e garanzie in relazione a progetti ammissibili, e verranno sviluppate strutture di finanziamento innovative a favore di infrastrutture pubbliche e private, Comuni, imprese di diverse dimensioni e specifici progetti nel settore della ricerca e dell'innovazione.
Intesa Sanpaolo, grazie alla prestigiosa collaborazione con fondazione Ellen MacArthur, alcuni mesi fa ha stanziato un plafond di 5 miliardi di euro nel nuovo piano d'impresa. E la Banca europea degli investimenti (BEI) dopo aver fatto il punto delle risorse finora investite per sostenere la transizione verso l'Economia Circolare al World Circular Economy Forum di Helsinki ha firmato un accordo da un miliardo proprio con Intesa Sanpaolo. Al centro del finanziamento il Framework Loan Circular Economy (quello italiano è il maggiore sinora in Europa per importo) destinato a PMI e Midcap che sviluppano progetti di Economia Circolare.
E siamo solo all'inizio.
È sufficiente questa enorme massa di denaro a definire l'Economia Circolare come opportunità non più rinviabile per offrire soluzioni sostenibili alle nostre filiere produttive?
L'occasione è storica. Il momento è decisivo. All'Italia serve un ministro per l'Economia Circolare. E servono assessorati regionali che si assumano l'impegno a promuovere un modello di sviluppo sempre più sostenibile e inclusivo, a partire dai territori e dalle comunità locali.
Il nostro sarebbe il primo Paese al mondo a definire un ruolo istituzionale e programmatico per quello che da tutti viene definito come nuovo e unico paradigma per uno sviluppo realmente sostenibile, dal punto di vista ambientale, culturale, sociale ed economico.
L'Economia Circolare non è una scelta possibile di futuro. È l'unico futuro possibile.
Ecco perché chiedere al prossimo governo la creazione del Ministero per l'Economia Circolare.
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Tag:
economia circolare
Autori
Paolo Marcesini
Giornalista e direttore di Italia Circolare e di MEMO Grandi Magazzini Culturali, membro del Comitato scientifico di Symbola Fondazione per le...
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