Rifiuti, energia, appalti: così l’economia circolare entra nei piani industriali

di Andrea Begnini

26/03/2025


A sei anni dal primo studio, Confindustria torna al Parlamento Europeo con il Secondo Rapporto sull’Economia Circolare, presentato a Bruxelles. Un documento che analizza in profondità uno dei pilastri più rilevanti della transizione sostenibile, riaffermando con forza le tre direttrici già individuate nel 2018: abbattere le barriere non tecnologiche, incentivare la circolazione di beni e prodotti a ciclo chiuso, e rafforzare la capacità impiantistica nazionale. Tre obiettivi che, oggi più che mai, si confermano attuali in un contesto europeo segnato da oltre 130 atti legislativi dedicati alla sostenibilità e da un mercato in cui il 45% delle materie prime utilizzate è di provenienza estera.

Il Rapporto, aggiornato al 16 dicembre 2024, offre un’analisi integrata del paradigma circolare, che va oltre la dimensione ambientale per abbracciare quella industriale, economica e strategica. Energia, trasporti, logistica, infrastrutture, appalti pubblici: la circolarità si conferma un principio trasversale, destinato a incidere sull'intero sistema produttivo nazionale.

La dimensione quantitativa della circolarità emerge con forza. Secondo i dati riportati, nel 2024 l’Overshoot Day globale è caduto il 1° agosto, mentre per l’Italia è arrivato già il 15 maggio. In termini semplici, ciò significa che in poco più di cinque mesi il nostro Paese ha esaurito il capitale ecologico annuale disponibile. Una conferma drammatica della necessità di un cambio di paradigma.

A fronte di questa urgenza, l’industria italiana non è rimasta immobile. Il Rapporto documenta centinaia di buone pratiche già operative, che spaziano dalla bioeconomia alla chimica da biomassa, dall’uso di sottoprodotti nei processi produttivi fino all’estensione del ciclo di vita dei prodotti. Il comparto manifatturiero, ad esempio, ha ridotto del 30% il consumo di materiali vergini in dieci anni, mentre i tassi di riciclo in settori come siderurgia, legno-arredo e RAEE superano in molti casi il 75%. In parallelo, si rafforzano le sinergie industriali: nel solo 2023 sono stati attivati oltre 40 progetti di simbiosi tra imprese, con ricadute ambientali e occupazionali significative.

Il cuore del documento è rappresentato da dieci raccomandazioni strategiche che Confindustria rivolge alle istituzioni europee e nazionali, in vista del prossimo Circular Economy Act. Tra queste, l’armonizzazione normativa rappresenta un passaggio cruciale: oggi, la sovrapposizione tra regolamenti su ecodesign, green claims, imballaggi e rifiuti genera inefficienze stimabili in oltre 2 miliardi di euro l’anno per il solo comparto industriale italiano. Altro nodo critico è la semplificazione del permitting ambientale. Uno studio di BusinessEurope rileva che l’83% delle imprese considera la lunghezza delle procedure autorizzative uno dei principali ostacoli agli investimenti in Europa.

Il Rapporto propone anche l’introduzione di strumenti di mercato innovativi, come i certificati di efficienza energetica circolare. Basati su metriche scientifiche, questi certificati quantificherebbero il risparmio energetico e la CO₂ evitata grazie all’utilizzo di materie prime seconde, favorendone l’integrazione nei mercati ETS o nei meccanismi dei titoli di efficienza.

Non meno importante è il richiamo alla leva degli appalti pubblici: oggi, il 15% del PIL europeo passa attraverso gare pubbliche. Orientare anche solo una parte di questi volumi verso criteri circolari avrebbe un effetto moltiplicatore significativo sull’innovazione e sull’impiego di materiali riciclati o rigenerati.

Il documento sottolinea, infine, l’urgenza di coordinare le politiche di economia circolare con quelle della transizione energetica. Le due agende, infatti, condividono obiettivi e strumenti: un uso più efficiente delle risorse non solo riduce le emissioni, ma contribuisce direttamente alla sicurezza energetica del continente.

Confindustria ribadisce così il valore strategico dell’economia circolare non solo come risposta alla crisi ambientale, ma anche come leva di competitività e indipendenza industriale. Il Rapporto – che valorizza le performance del Sistema associativo italiano – lancia un messaggio chiaro: la transizione è già in corso, ma per diventare strutturale ha bisogno di regole chiare, strumenti efficaci e risorse dedicate.
 

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