Se penuria di lievito e carta igienica vi sembravano problemi, provate a bere quest’acqua

di Diego Parassole

22/03/2021

Foto di Peter H da Pixabay

Accade ogni 22 marzo, la Giornata mondiale dell'acqua, che non vuol dire riempire la vasca e festeggiare con schiuma e paperelle, ma l’esatto contrario. Accade ogni 22 marzo, ma questa volta è diverso. Dovrebbe essere diverso o almeno così speriamo: la pandemia ci ha spiegato sin troppo bene che di scontato c’è poco, che ciò che è abitudine può diventare merce rara, che gli amici che ci sembravano noiosi potrebbero diventare miraggi, che anche le suocere, al tempo dei lockdown, possono risultare simpatiche e di compagnia, che lievito e carta igienica, sino a inizio 2020 derisi e snobbati sugli scaffali, possono trasformarsi in merce insostituibile.
Quello che dovremmo avere imparato insomma è che non si può andare avanti senza guardare a chi sta dietro, o di lato. Siamo connessi e interdipendenti e “fare la cosa giusta”, solidarietà, sostenibilità e uguaglianza non sono valori caritatevoli, ma l’unica strada da seguire.

Per cui, anche se accade ogni 22 marzo, questa volta dovrebbe essere diverso. Dovremmo davvero celebrare la Giornata mondiale dell'acqua, pensando a chi da anni o da sempre, per avere acqua, deve accontentarsi di liquidi sporchi, pieni più di virus che di particelle di sodio.
L’acqua è il primo simbolo dell’ineguaglianza e di un sistema insostenibile.
Parlando di acqua, non è sufficiente fare come due miei amici che si sentono la coscienza a posto e si vantano di non sprecarne mai: uno non si lava, l’altro va avanti a Barbera (che del resto contiene una discreta dose di acqua). Quella dell’acqua è questione seria, tema complesso, storia tristissima.
Per iniziare due immagini che, come dice il detto, parlano più di mille parole. Eccole qui.
 

A sinistra una famosa pubblicità dell’acqua Evian, da anni emblema delle acque di lusso, balzata alla ribalta delle cronache grazie alla Ferragni testimonial: 8 euro per una bottiglietta, ma cercando se ne trovano di molto più costose (la Kona Nigari, ad esempio, pare costare 405 dollari a bottiglia). A destra invece, una trovata geniale dell’organizzazione umanitaria Water of Africa per sensibilizzare sull’argomento: l’acqua imbottigliata che oggi, non cento anni fa, sono costretti a bere in moltissime zone del mondo moltissimi uomini, donne, bambini, che potremmo dire hanno perso la lotteria e sono nati nella parte povera del globo.
Un’immagine di questo tipo dovrebbe chiudere i discorsi, ma purtroppo possiamo continuare.
Con i numeri per esempio. Impietosi: secondo l’ONU, nell’anno di grazia (poca) 2021, il 40% della popolazione mondiale non ha ancora accesso e diritto all’acqua. Significa 4 miliardi di persone che non sanno cosa sia la colpevole abitudine di lasciare il rubinetto aperto per rispondere al telefono (difficile farlo, non avendo né rubinetto né telefono!). Cose di cui noi gente che sguazza, modestamente, è maestra: nel 2018, giusto per fare due numeri, il volume d’acqua utilizzato in Italia era pari a 419 litri a testa (ISTAT). Se si tolgono i 2 litri al giorno che i medici consigliano di bere, i 5-7 sciacquoni quotidiani (in media) che significano 50-70 litri, e altri 30 immolati lavando i denti tre volte al dì, gli altri 317 litri dove finiscono?

Infine, le storie.
Qui materiale da attingere ce n’è a iosa: dalla triste e famosa epidemia di colera che colpì la Londra dell’800 e che è ancora oggi utilizzata per ricordare il nesso tra tubature, salute dell’acqua ed epidemie, sino a meno celebri drammi come quelli andati in scena nel Michigan, dove nel 2014, mica nella Londra vittoriana, l’acqua fu trattata in modo inadeguato e i residenti fecero il bagno, cucinarono e bevvero acqua con livelli di piombo altissimo e quasi letale.
 
Foto di Sebastian Ganso da Pixabay

Ma se vogliamo davvero storie su cui riflettere, ne scelgo due.
La prima, sempre recente, ha luogo a Ferguson. Bene, o meglio male, ma proprio a Ferguson, nel 2015. In seguito anche ai fatti del Michigan, scuole “povere” come la Mann Elementary e la Patrick Henry Downtown Academy, analizzando le fontanelle all’interno degli edifici, scoprirono livelli così pessimi da doverle chiudere. A qualche km invece, in scuole ricche, le fontanelle regalavano, e regalano, acqua fredda e limpida, sostenuta da donazioni di persone e aziende che trovano conveniente firmare fontane come ormai si fa con gli stadi, ma in modo più economico.

Per la seconda storia di cui vi parlavo, serve fare un po’ di strada in più per “incrociare di persona” l’unica acqua possibile per 319 milioni di persone che vivono nell’Africa subsahariana: quella gialla e puzzolente che vi avevo mostrato prima. Quella provocatoriamente messa in vendita nei supermercati da “Water of Africa” in bottiglie che sull’etichetta, al posto delle proprietà benefiche, elencano i danni che un solo sorso può portare all’organismo
Ma per chi vive nel Sud del mondo non è disponibile nei supermercati: già trovarla e raccoglierla è un’impresa. Un’impresa che, per completare il triste quadro del ventunesimo secolo, spetta quasi sempre alle donne.

Potrei continuare ma c’è un limite ai caratteri di questa riflessione e non sono nemmeno sicuro che questo tempo, il mio per scrivere e il vostro per leggere, sia stato speso bene.
Faremmo tutti bene a fare altro.
Come fare una passeggiata per casa alla ricerca di rubinetti aperti da chiudere e altri sprechi. 
O una, più audace, tra i vicoli della nostra coscienza.
 

Tag:  acquaGiornata mondiale dell'acqua

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