Una rete a zero

di Andrea Begnini

14/11/2019

Quando si parla di Zero rifiuti o Rifiuti Zero (in inglese Zero Waste) si indica una sorta di approssimazione allo zero in materia di gestione dei rifiuti. Non si parla più di scarti da conferire in discarica, ma di risorse da riutilizzare come materie prime seconde. Questo può avvenire a livello industriale con la creazione di macchinari specifici per la rigenerazione dei prodotti già utilizzati. E a livello individuale con atteggiamenti ben diversi da quelli che pratichiamo quotidianamente nella più placida inconsapevolezza. Come riportato anche da Wikipedia, il primo comune italiano a aderire alla strategia Rifiuti Zero è stato Capannori, in provincia di Lucca e, al 14 febbraio 2018, erano 232 i comuni italiani aderenti alla strategia Rifiuti Zero, per un bacino complessivo di 5.904.503 di abitanti. 

Per quanto riguarda l'educazione e l'impegno personale negli ultimi anni sono nate associazioni come Zero Waste, la rete italiana di chi vive (quasi) senza rifiuti. Creata da un gruppo di donne provenienti da tutta Italia, la rete punta a fornire consigli e risorse “per chi vuole ridurre il proprio impatto ambientale, produrre meno rifiuti e vivere in maniera più sostenibile”. Si parte, ad esempio, con una piccola guida di gesti quotidiani come riempire di acqua la bottiglia e la borraccia per ridurre il consumo di plastica, evitare gli usa-e-getta o cambiare lo spazzolino: “Ogni persona consuma in media 4 spazzolini all’anno. Moltiplicati per un’aspettativa di vita di 80 anni, sono 320 spazzoli per individuo. Plastica non riciclabile e altamente inquinante. Le alternative esistono, e non sono care come probabilmente immaginate. Lo spazzolino in bamboo esiste in diversi formati, adatti a tutta la famiglia, costa circa 3 euro ed è completamente compostabile”. Inoltre, ripara ciò che rompi, porta con te un sacchetto di stoffa o rispolvera la cara vecchia moka: “Le macchinette del caffè in cialde hanno conquistato le case degli italiani. Centinaia di capsule consumate ogni giorno e solo una minima parte delle ditte ha creato delle cialde compostabili. Siamo sicuri che convenga? Pensate al costo della produzione e dello smaltimento delle cialde”.

Sul versante informazione il sito propone interessanti spunti per apprendisti zero waste. Come i pannolini lavabili: “Si calcola che dalla nascita, per ogni bambino vengano utilizzati circa 4.000 pannolini usa e getta, il che corrisponde a uno spreco di risorse naturali limitate nonché a 150 kg circa di rifiuti non riciclabili. L’Agenzia per l’Ambiente Inglese ha constatato che i pannolini lavabili emettono il 49% di CO2 in meno rispetto agli usa-e-getta”. Ma i pannolini lavabili sono davvero una missione impossibile? “Una breve ricerca online e su Instagram vi rincuorerà immediatamente: i genitori che li usano abitualmente sono tanti e i pannolini lavabili si sono evoluti, con modelli semplici da usare e da lavare. Le mamme della Rete possono affermare con soddisfazione che usare i pannolini lavabili è fattibilissimo e che non richiedono più tempo rispetto a quelli usa-e-getta”. 

Come partecipare? Per esempio iscrivendosi a uno dei tanti gruppi locali dislocati lungo lo stivale. I gruppi organizzano raduni, “promuovono lo stile di vita zero waste nel quotidiano, durante eventi culturali, incontri e manifestazioni, entrano in contatto con le sedi locali delle associazioni ambientaliste, attuano, se vogliono, pratiche di acquisto collettivo”. 

Per informazioni:  www.retezerowaste.it 
 

Tag:  circular economyfiliera circolarefiliera sostenibilespreco alimentareZero rifiutiZero Waste

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