Viaggiare per ascoltare. Appunti e riflessioni di un viandante di professione

di Federico Massimo Ceschin

30/04/2024


Negli scenari divenuti globali, in cui tutto è connesso, l’Italia intera è un Paese piccolo piccolo: il suo punto più a nord, tradizionalmente individuato presso la Vetta d’Italia sulle Alpi Aurine, dista soltanto 1.291 chilometri da quello più a sud, Punta Pesce Spada sull’isola di Lampedusa. Un territorio in gran parte montuoso ma ricco di santi, di poeti, di navigatori (anche fluviali) e di costruttori di strade, che hanno consentito a questo piccolo pezzo di terra di accumulare nei secoli una straordinaria varietà di esperienze umane che hanno lasciato tracce numerose e diverse che, stratificandosi, sono diventate paesaggi, tradizioni, culture e opere d’arte.
Un immenso patrimonio che, per il 60% insiste nel territorio di piccoli Comuni. Molti nelle aree interne, dove un quarto della popolazione totale convive quotidianamente con carenze di servizi essenziali – scuola, sanità, mobilità – e la loro marginalizzazione appare abbastanza grave da essere ritenuta una grande questione nazionale. Federico Massimo Ceschin attraversa questi luoghi con lentezza e con leggerezza, incontrando situazioni e comunità che hanno molto da raccontare. Ecco quindi un piccolo tesoro di narrazione del viaggio tutto da leggere, 
“Lunga vita e prosperità alle aree interne del paese” (Movability Books), appunti e riflessione di un viandante per professione. Dopo decine di pubblicazioni scientifiche, l’autore si cimenta in una narrazione che fa leva non tanto su importanti competenze ed esperienze quanto sulla propria capacità di ascolto, che diventa uno strumento per raccogliere testimonianze e proiezioni di futuro, come rimedi per attraversare il «Bel Paese» anche in tempi di paura e di incertezza.

di Federico Massimo Ceschin

«L’esperienza umana viene raccolta, la sua condivisione organizzata, i significati concepiti, assorbiti e negoziati attorno ai luoghi. Ed è dai luoghi e nei luoghi che le pulsioni e i desideri umani nascono, vivono nella speranza di essere soddisfatti e rischiano una frustrazione che assai spesso si avvera».

Zygmunt Bauman


Uno studio della “School of Life” di Londra dimostra senza ulteriori inganni mentali che la bellezza dei luoghi è oggettiva, quindi calcolabile: “I luoghi sono un orologio mentale le cui ore battono al tempo del pendolo che oscilla tra gli investimenti per la manutenzione della loro bellezza e i danni causati dal tempo che la corrode e dai mostri che la deturpano, imbrattandola”. Questo pensiero mi accompagna sempre, in particolare, quando attraverso le aree interne del Paese, dove la relazione tra lo spazio, i luoghi, il tempo e la vita “delle persone assume connotati densi di straordinarietà.

Per destino e per scelta, vivo la strana condizione del viandante di professione. Ovvero sommo una propensione naturale a camminare, spontanea per tutti ma intrinsecamente connessa al privilegio di essere nato a Venezia, al desiderio di libertà offerto dal girovagare senza apparente meta e inseguendo l’estro del momento – ereditata dai nonni montanari del Veneto e del Friuli Venezia Giulia – ad una competenza maturata visitando ogni angolo del Bel Paese per sostenere iniziative e progetti di sviluppo locale sostenibile.

Gli appunti che seguono nascono come diario di viaggio. Un tour speciale, di città in città, di territorio in territorio, per conferenze e presentazioni di una precedente pubblicazione (“Non è Petrolio”) che ambiva a scuotere le comunità locali, chiedendo di adottare una vera e propria “rivoluzione dello sguardo”: guardare all’Italia intera muovendo dai margini e dalle periferie, urbane ed esistenziali, dalle aree interne, dalle montagne alpine e dagli Appennini, spina dorsale del Paese ferita dai sismi, dal dissesto idrogeologico, dallo spopolamento e – ancora più – dal volgere le spalle che la società dei consumi, della velocità e della voracità ha loro riservato. Eppure ancora immensa riserva di valore per gli italiani di domani.

Non sembri una parte residuale: il 60% del Paese è contraddistinto dalla presenza di piccoli Comuni. Un quarto della popolazione totale convive quotidianamente con carenze di servizi essenziali – scuola, sanità, mobilità – e la loro marginalizzazione appare abbastanza grave da essere ritenuta una grande questione nazionale.

L’Italia intera, in fondo, è un Paese piccolo piccolo, negli scenari ormai globali: il suo punto più a nord, tradizionalmente individuato presso la Vetta d’Italia sulle Alpi Aurine, dista soltanto 1.291 chilometri da quello più a sud, Punta Pesce Spada sull’isola di Lampedusa. Un territorio in gran parte montuoso ma ricco di santi, di poeti, di navigatori (anche fluviali) e di costruttori di strade, che hanno consentito a questo piccolo pezzo di terra di accumulare nei secoli una straordinaria varietà di esperienze umane che hanno lasciato tracce di queste storie, numerose e diverse, diventando paesaggi, tradizioni, culture e opere d’arte.

Per valorizzare tale immensa stratificazione, invito ad “agitare il patrimonio”, ovvero a rinunciare al fatalismo, allo spontaneismo, al pressapochismo, al qualunquismo e agli aspetti più deteriori del campanilismo per diventare tutti assieme “custodi di futuro”. Risiedono ancora in tutta la Penisola, isole comprese, una profonda spiritualità dei luoghi e una forte identità delle comunità locali, che chiedono di essere trasmesse alle prossime generazioni per continuare a produrre valore.

Recenti dati Istat offrono un dato da leggere con attenzione strategica: oltre il 20% delle presenze turistiche si registra nei Comuni geograficamente e logisticamente più isolati, nelle aree interne, classificati come “periferici” o “ultra-periferici”. Nonostante i limiti di accessibilità, quelli in grado di stimolare una maggiore attrattività dei flussi turistici registrano persino una crescita sul piano demografico e sociale: tra il 2011 e il 2017 la loro popolazione è cresciuta del 2,1%, con un reddito pro capite aumentato del 6,5%, (due punti in più della media nazionale).

Allo stesso modo, va osservato che l’Italia compete nei mercati turistici internazionali con soli 2 prodotti – balneare e città d’arte – che, pur con caratteristiche diverse, vanno progressivamente smarrendo competitività. Mentre nell’entroterra, nelle aree interne ed a vocazione agricola, sono presenti ormai oltre 16.000 agriturismi che costituiscono il 61% dei posti letto nazionali! Il turismo rurale non è più soltanto una leva per diversificare l’offerta e combattere i fenomeni di overtourism nelle località più celebrate, ma una grande opportunità per oltre 6.000 Comuni, dove ad attendere il visitatore ci sono straordinarie esperienze di comunità in territori sempre più accoglienti, virtuosi e ospitali.

Non si può inoltre certo dimenticare che da anni l’amico Sandro Polci ha contribuito a mettere in luce, attraverso analisi sviluppate su fonti Istat, queste dinamiche virtuose attraverso l’Osservatorio sul disagio insediativo realizzato da Cresme per Fondazione Symbola, Legambiente e UnionCamere. La ricerca ha preso in considerazione l’evoluzione della ricettività turistica e le dinamiche demografiche, suddividendo i Comuni delle aree interne come “periferici” e “ultra periferici”, rilevando che:

– La capacità ricettiva è cresciuta negli anni più recenti, sia in termini di diffusione sul territorio, sia per diversificazione nelle tipologie di strutture. In aggregato, la crescita è stata del 27%, con un aumento e del 7% dei posti letto nei Comuni classificati come “ultra periferici” e del 10% nei Comuni “periferici”;

– Per valutare la potenzialità di accoglienza di un territorio, è stato utilizzato il tasso di ricettività (calcolato come rapporto tra posti letto e popolazione residente): il valore è risultato molto elevato, in aumento, passando dal 38 al 41% per i Comuni “ultra periferici” e dal 16 al 18% per quelli “periferici” (il dato nazionale è dell’8%).

– È in aumento anche il numero di Comuni che genera una propria offerta di ricettività turistica: sono ormai l’87% dei centri “ultra periferici” e l’88% di quelli “periferici”.”

Questi appunti da “viandante per professione” non contengono altrettanta scientificità, ma la loro lettura indica la necessità e l’urgenza di un progetto unitario e nazionale, capace di sostenere e incoraggiare la transizione del Paese da sommatoria spontanea di motivi di eccellenza a sistema integrato di bellezze, paesaggi, colori, sapori, tradizioni, culture e produzioni.

Per decenni si è dato ascolto al controcanto dei non-luoghi e della non-ruralità, rincorrendo la frenesia dell’asfalto e del cemento, della velocità e della voracità, dimenticando le matrici rurali e contadine diffuse, colpevoli di ricordare un passato di arretratezza e spesso di miseria. Ora è necessario attivarsi, localmente ed a livello nazionale, per rigenerare un tessuto amministrativo, politico, economico e sociale che maturi una visione capace di andare in parallelo con le esigenze delle comunità locali e dei visitatori, cittadini temporanei, sempre meno turisti e sempre più viaggiatori.

Come già proposto nel 2015, nella pubblicazione “Non è Petrolio”: «Sono queste esperienze di comunità, diventate città, paesi, borghi e villaggi, a consegnarci una nazione fatta di piccoli centri abitati, di paesaggi scarsamente attraversati, di tradizioni poco conosciute ma ben conservate: un immenso patrimonio diffuso che rende l’Italia il “Bel Paese”, ovvero un Paese fondato sul capolavoro!».

Benvenuti nell’Italia ostinatamente considerata «minore»: un Paese da attraversare lentamente, da conoscere anche nelle sue parti più intime e riservate, da vivere nella sua dimensione sociale dolce, da rispettare e da amare.
 

Tag:  aree internelibriPiccoli Comuniturismo lento

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