Zero Waste. Dimmi chi sei e ti dico come ricicli

di Annalaura Greco

10/09/2020

“Mi chiamo Annalaura e due anni fa ho deciso di trasferirmi in Danimarca per finire gli studi. Mi sono laureata a giugno in Global Marketing and Consumer Culture con una tesi dal titolo: “Zero Waste: an empirical investigation of the main factors influencing the adoption of this lifestyle”. Le ho chiesto il perché di questa scelta. “Ogni estate infatti riempio buste piene di rifiuti di plastica raccolti dalle spiagge. Sono convinta che si debba essere parte della soluzione e non del problema. Da qui è nata l’idea della mia tesi. Se è vero che la gentilezza salverà il mondo, bisogna educarsi agli atti di gentilezza verso il nostro unico pianeta”. Inevitabilmente le ho chiesto di raccontarcela.
Buona lettura.
(Paolo Marcesini)


Zero Waste

di Annalaura Greco

Cosa vuol dire essere sostenibili? Meno sprechi si traduce in meno consumi? Questa ricerca vuole essere il punto di partenza di una riflessione più ampia, non legata esclusivamente alla dicotomia che esiste tra domanda e offerta. Io, come sicuramente molte altre persone, non sono mai stata estranea al mondo della sostenibilità. Quello che adesso va di moda chiamare Zero Waste, mia nonna lo chiamava “riportare a casa i vasetti di vetro vuoti della salsa per riempirli di nuovo”. E così, un po’ per moda, un po’ perché spinti da sentimenti etici, un po’ per abitudini già consolidate, si fanno strada le bottiglie di alluminio, le cannucce di metallo, i prodotti compostabili e riutilizzabili che ci fanno sentire un po’ meno in colpa dopo anni passati a mangiare in piatti di plastica non riciclabili e comprare quantità non necessarie di prodotti di ogni genere. Perché, infatti, Zero Waste non vuol dire solo non produrre rifiuti ma è un concetto che si basa prima di tutto sul rifiutare tutto ciò che risulta superfluo e ciò che è risaputo finirà prima o poi in un cassonetto, ridurre le quantità per evitare sprechi, riutilizzare e riparare oggetti per allungare la loro vita utile, e solo infine arrivare al punto di riciclare. 

Ma come si rapportano diversi individui provenienti da situazioni culturali e sociali diverse a questo tema? L’idea è stata quella di comprendere se ci fossero dei pattern all’interno di gruppi geografici, anagrafici o culturali e successivamente capire se ci fosse l’eventuale esistenza di un fattore che più di altri influenzasse alcuni tipi di comportamenti. L’intera ricerca e i risultati si basano su dati primari raccolti tramite un questionario online. I risultati in alcuni casi sono stati del tutto imprevisti. Innanzitutto, il campione è risultato essere fortemente compromesso per quanto riguarda il genere, perché l’88% dei rispondenti erano donne. Inoltre, la maggior parte delle risposte proveniva da Stati Uniti, Italia e Canada. Questo ha reso difficile una generalizzazione del campione dal punto di vista demografico. Il fulcro principale della ricerca era tuttavia l’identificazione dei fattori di influenza nell’adozione di alcuni comportamenti per minimizzare gli sprechi. Per il metodo utilizzato e per la letteratura disponibile è stato sviluppato un modello ampliato basato sulla Teoria del Comportamento Pianificato, sviluppata da Ajzen nel 1991, la quale afferma che si può prevedere il comportamento di un individuo se si comprende la sua attitudine, il controllo sulla situazione che egli percepisce di avere e quello che viene definita come la pressione sociale di compiere o meno il comportamento. A queste tre dimensioni ho deciso di aggiungerne altre due: la preoccupazione per le questioni ambientali, rappresentante la dimensione della responsabilità e della sostenibilità, la cui influenza sul comportamento è un aspetto fondamentale in questo caso, e la norma morale, ovvero la preoccupazione personale di un individuo per gli obblighi morali, in riferimento alla responsabilità etica e sociale che un individuo sente di avere. Si contrappone alla sfera sociale menzionata prima. 

Uno dei risultati che più ha sorpreso è stato il fatto che la sfera sociale risulti non influire quasi per niente nella scelta di adottare alcuni tipi di comportamenti. Ci si sarebbe aspettato, invece, che le dinamiche sociali avessero avuto un notevole peso nella scelta di stili di vita e abitudini. L’esito emerso potrebbe essere dovuto al fatto che la maggior parte delle azioni che si compiono per minimizzare gli sprechi siano in realtà molto comuni nella sfera privata di un individuo, non generando dunque il bisogno di manifestare la propria identità a livello sociale, e rendendo quindi  l'opinione o l'approvazione delle persone vicine non rilevante al fine di adottare comportamenti sostenibili. Andando contro quelle che sono le leggi dettate dalla società odierna dove “sei perché possiedi”, si crea inconsciamente e silenziosamente un nuovo paradigma per cui “sei perché non possiedi”. 

Prevedibilmente, è risultato come lo stile di vita Zero Waste sia principalmente influenzato dal controllo percepito dell’individuo di poter portare a termine con successo determinate azioni. Più le persone sono consapevoli delle loro capacità e delle difficoltà che possono incontrare nell'eseguire azioni nel condividere abitudini a zero sprechi, più questo avrà un impatto effettivo sulla decisione di adottare determinati comportamenti. In effetti, ad esempio, avere accesso a negozi dove comprare prodotti sostenibili, confezioni ricaricabili o avere la capacità di creare prodotti naturali ed ecosostenibili in casa crea una disponibilità di opzioni tra cui le persone possono scegliere. 

La natura dello Zero Waste, dopotutto, suggerisce indubbiamente che la preoccupazione per le questioni ambientali e la norma morale fungano da dimensioni mediatrici di un aspetto di sostenibilità e responsabilità che logicamente hanno un impatto medio alto sulla scelta di preformare con successo una specifica azione. 

In quest’ottica, il risultato più evidente è che lo Zero Waste non soltanto esiste ed è possibile, ma è anche condivisibile e concretamente condiviso. A beneficiarne non sono solo le persone nella loro vita privata e l’ambiente più in generale ma si creano delle dinamiche su scale diverse che rendono questo stile di vita fruttuoso per diverse categorie. Si creano innanzitutto delle reti di produttori e delle comunità locali che traggono convenienza dall’azione collettiva. Fornendo un certo tipo di servizi o prodotti anche le grosse compagnie potrebbero decisamente diventare più competitive su un mercato già abbastanza saturo e raggiungere una grossa fetta di consumatori che si sentono insoddisfatti delle opzioni in commercio e optano ad esempio per soluzioni casalinghe e a volte improvvisate. Inoltre, non è da sottovalutare l’aspetto economico. Produrre rifiuti costa e costa ancora di più smaltirli. Non sarebbe dunque più vantaggioso tagliare questi costi alla radice? In una prospettiva alquanto utopica, agevolare a livello istituzionale un sistema economico circolare migliorerebbe le dinamiche di mercato, i processi sarebbero più fluidi e lo sfruttamento delle risorse sarebbe rallentato. La nascita di un sentimento collettivo di preoccupazione per l’evoluzione futura della società consumistica, coadiuvato dal progressivo palesarsi di urgenze climatiche e ambientali, fornisce una rampa di lancio strategica alla diffusione di nuovi stili di vita che potrebbero, si spera, invertire le tendenze in atto e rendere ogni individuo protagonista della comune e progressiva ondata di necessario cambiamento.
 

Tag:  Annalaura GrecoriciclosostenibilitàZero Waste

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